La lezione di don Milani e il magistero papale, la Porta che si chiude per riaprirsi
Caro direttore,
domenica 6 novembre ho letto con qualche soddisfazione l’articolo su «La suora che ha fatto riabilitare il libro di don Milani» e il successivo martedì 8 l’elzeviro di Andrea Fagioli su «Nuovi sguardi su don Milani». Ottime intenzioni, in sostanza però niente di nuovo, soprattutto per i lettori di “Avvenire”, come dirò tra poco, anche se non posso nascondere che leggere la precisazione che il libro non fu propriamente condannato, ma solo «ritirato» per ordine del Sant’Offizio, nel 1958, e leggerla nei giorni, anzi nel giorno in cui al discorso del Papa agli emarginati dei movimenti sociali viene affibbiato da qualche scriteriato l’aggettivo «comunista», mi pare minimizzante e dannoso. Ho tra le mani la prima e unica edizione originale, che ha pagine sorprendenti anche nel modello di prete che don Lorenzo presentava, attratto solo da Cristo e dai suoi ragazzi, dai poveri dunque, dagli indifesi e offesi per prassi secolare... So bene che alla riabilitazione di don Lorenzo Milani “Avvenire” dà il suo contributo fin dal 1977 – ne abbiamo scritto e letto qui anche nell’aprile 2014, ricordando l’impegno autentico del cardinale Betori, amico da sempre per me, ma restano alcune cose da chiarire meglio, dopo la lettura della recensione del libro di suor Rosaria Maria Sorce.
Don Milani fu non solo incompreso, ma anche pesantemente malinteso ed emarginato, basti pensare che a dieci anni dalla morte, l’arcivescovo che lo aveva “punito” scriveva a un altro cardinale, padre Umberto Betti, che don Lorenzo era un povero «comunistoide»... Superato tutto, dunque? Sì e no. Perché proprio nel caso del libro “Esperienze Pastorali” vittima dei malintesi, delle malignità e delle vendette ispirate da chi non voleva ammettere la lungimiranza pastorale che è nelle pagine di quel libro, non fu soltanto don Lorenzo Milani, ma anche l’allora arcivescovo di Camerino, monsignor Giuseppe D’Avack, che per quel libro di pastorale, sociologia e comprensione del presente e del futuro, uscito con l’imprimatur del cardinale Della Costa, fece una lunga e pensatissima prefazione positiva: amo definirle 32 pagine fitte di riflessione paternamente fraterna! Ebbene: il libro per ordine del Sant’Offizio fu ritirato dalla vendita, e lui, monsignor D’Avack, da allora fu sospetto e a soli 64 anni fu “dimesso”... A parere di molti una delle ragioni delle difficoltà che lo condussero alla “dimissione” obbligata fu proprio quella prefazione. Deposto e mandato a vivere gli anni che gli restarono – ben 15! – come “canonico” della Basilica Lateranense. Sempre benevolo, sempre paterno, capace di lasciare al telefono sulla segreteria telefonica, quando qualche “guaio” di incomprensione capitò anche ad altri – che conosco bene – la preghiera mariana del Sub tuum praesidium, segno di vicinanza e fraterna solidarietà amichevole e sofferta…
Quel libro, e le due vite, di don Lorenzo e del vescovo Giuseppe, sono segno – da allora – anche di un futuro che forse oggi stiamo a poco a poco vivendo. Torno all’attualità delle parole di papa Francesco, alla sua cura dei lontani, degli ultimi, e all’assurda accusa di «comunismo» che leggo in varie pagine ora affibbiata a lui! E per chiudere in positivo allora ricordo che proprio nelle ultime pagine di “Esperienze Pastorali”, don Lorenzo scrisse una «Lettera dall’Oltretomba, riservata e segretissima ai missionari cinesi», nella quale collocandosi «alla fine del secondo millennio» – quindi dal 2000 in poi – ricorda gli errori compiuti dai cristiani, e scrive queste parole: «Quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri erano già partiti senza di noi». Ecco: papa Francesco ha ricondotto la nostra attenzione e cura alla vera realtà dei poveri di tutto il mondo, e non solo della Cina di questo terzo millennio. Mi pare una bella cosa: don Milani e monsignor D’Avack in cielo festeggeranno anche per questo.
Gianni Gennari
Niente di nuovo, caro Gianni? C’è sempre qualcosa di nuovo nei cammini di comprensione e di ricomprensione di figure come quella di don Lorenzo Milani. E non credo affatto che sia «minimizzante» usare e saper ascoltare parole tecnicamente appropriate per spiegare la vicenda che nel 1958 si sviluppò tra Roma e Firenze attorno a “Esperienze Pastorali”. Penso, anzi, che tutto ciò aiuti a capire perché nel 2014 procedette, infine, spedita la «riabilitazione» del gran libro di questo «ribelle ubbidiente» sollecitata da un movimento “dal basso” animato dai suoi «ragazzi di Barbiana» che raggiunse il Papa anche attraverso la consegna di una lettera.
Un gesto semplice e povero, reso possibile dalla filiale, appassionata e colta dedizione francescana e milaniana di suor Maria Rosaria Sorce, autrice del libro che abbiamo recensito il 6 novembre («da Assisi a Barbiana, il sentiero di don Milani») e che anch’io ho contribuito a presentare lo scorso 18 ottobre. Un movimento accompagnato con paterna saggezza, carità fraterna ed efficace convinzione dall’attuale arcivescovo di Firenze, cardinal Giuseppe Betori. Un fatto di Chiesa, certo, ma non solo. Con uno sviluppo e un esito che allora, poco meno di due anni fa, venne ben documentato dai colleghi di “Toscana Oggi” e quindi, come ben ricordi, anche sulle pagine del nostro giornale, davvero attente – sin dagli anni 70 del Novecento – alla vicenda di don Milani.
Quanto a monsignor Giuseppe D’Avack, ne sai molto più di me, caro Gianni. Ma, anche a questo proposito, io mi limito ad aver cara la luminosa consapevolezza di don Lorenzo, contenuta in una sua lettera che risale all’ottobre di quel fatidico 1958, una manciata di giorni prima del Conclave che avrebbe posto Giovanni XXIII al timone della barca di Pietro: «Non mi ribellerò mai alla Chiesa – scriveva il priore di Barbiana – perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa». Parole non di rassegnazione, ma di amore. Frutto dell’ascolto e dell’incontro che riconciliano e uniscono. Parole che sento specialmente giuste in quest’ultimo giorno dell’Anno Santo della Misericordia, certamente il primo – come ci ricorda con forza papa Francesco, anche nella straordinaria intervista raccolta da Stefania Falasca e pubblicata venerdì scorso sulle nostre pagine – di un tempo cristiano che ancora, e ancora, e ancora ricomincia. La Porta si chiude solo per tornare ad aprirsi.