Tasse, fedi e onlus: fatti e propagande. La guerra (non) è finita
E così la Corte di Giustizia europea ha annullato la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale europeo del 15 settembre 2016. Le imposte che il mondo non profit sarebbe stato tenuto a pagare dal 2006, e mai riscosse, vanno recuperate. Impossibile? “Mere difficoltà interne italiane”. Difficoltà da rimuovere. Punto. E chi pensava che la lunga tregua sul fronte della tassazione degli immobili di enti religiosi e non profit fosse ormai maturata in pace, a causa di una nuova tempesta di parole ha la sensazione sbagliata, ma potente, di essersi sbagliato. Dopo aver cavalcato il ricorso di una scuola elementare romana e di un bed & breakfast, un gruppetto di radicali ora esulta: vittoria, la Chiesa pagherà le tasse. Già ma le tasse italiane la Chiesa italiana le paga già, quando le deve. E deve farlo, come tutti. Punto.
La pace, in realtà, non è lontana. La sentenza di ieri dice, infatti, anche e soprattutto un’altra cosa. Dice che la vecchia “guerra delle tasse” sugli immobili che sono luoghi di culto o sede di opere senza scopo di lucro della Chiesa cattolica, di altre religioni e di realtà laiche è proprio finita. E questo perché la Corte Ue sancisce l’adeguatezza del nuovo e inequivocabile sistema di regole e di esenzioni della tassazione sugli immobili, l’Imu, introdotto nel 2012. Quanto al risuscitato fantasma dell’Ici, la pronuncia per avere conseguenza pratiche avrà bisogno di una norma specifica e di adempimenti (problematici) che rendano possibile il recupero di antiche imposte da enti e realtà che, a suo tempo, hanno rispettato la legge vigente e che in nessun modo l’hanno violata o evasa.
Già, l’Ici è storia passata. Ma è un fatto che nel mirino dei ricorrenti, sponsorizzati dai radicali, resta l’immagine e l’azione delle realtà cattoliche, ma insieme e in concreto tutte le attività dell’intero mondo non profit, anche quello laico e di altre religioni. Troppe sintesi sbrigative di queste ore, a cominciare dai titoli di agenzie di stampa e di tg, sembrano dimenticarselo, parlando prima di tutto e solo di “Chiesa”. Ma danneggiate, oggi come ieri, da questa campagna sono tutte le attività assistenziali e sanitarie, educative e culturali svolte senza scopo di lucro a vantaggio dell’intera società.
Come ricordava ieri il segretario generale della Cei, il vescovo Stefano Russo, chi svolge un’attività in forma commerciale, per esempio alberghiera, “è tenuto a pagare”. Se non lo fa, come “Avvenire” ha commentato più e più volte in questi anni, “va sanzionato”. Ma chi ha buona memoria e sufficiente onestà intellettuale sa che in questi stessi anni sono accaduti troppi fatti sgradevoli, dalla pensioncina a una stella delle suore all’edificio della diocesi, accusati di evadere le tasse, che in realtà pagavano eccome, e su queste nostre pagine lo abbiamo dimostrato pubblicando le ricevute dei versamenti Ici e mai che gli accusatori abbiano ammesso lo sbaglio diffamatorio, chiedendo scusa (al massimo se la sono presa con le fonti delle loro accuse, rivelatesi inaffidabili o incomplete). Chi ha buona memoria sa anche che queste pagine sono state le uniche a dare spazio e rilevanza nazionale alle proteste accorate dei responsabili di laicissimi circoli culturali, di società di mutuo soccorso e di case del popolo, pezzi di mondo non profit umiliati sotto il peso di accuse di privilegi ingiusti e di nuovi gravami fiscali.
Le bombe a grappolo degli allegri “giustizieri”, infatti, hanno sempre equiparato il bar dell’oratorio o del circoletto alla grande sala da tè dall’altra parte della piazza: concorrenza sleale, perbacco. E così pure, la casa alpina – dove si dorme nel sacco a pelo e le mamme volontarie cucinano – al cospetto dell’albergo a tre o quattro stelle. Così è per loro e per certi “soloni” europei non abituati al modello di Big Society (il welfare sussidiario promosso “dal basso” che coopera, stando sotto la legge, con la mano pubblica e ne limita impacci e renitenze) che, grazie a Dio e per fortuna, sino a oggi in Italia è ancora vitalissimo accanto al Big State (il welfare esclusivamente statale).
Già, la guerra è finita, ma le bombe cadono ancora. Tutto era cominciato nel 2006 con il primo ricorso di Carlo Pontesilli e Maurizio Turco. Da quel momento sono cominciate le offensive periodiche, ma anche il lavorìo normativo per preservare la risorsa rappresentata dal mondo religioso e del non profit e per rendere inappuntabile il sistema di regole che lo riguarda. E così la tensione è via via sfumata; fino a ieri e alla nuova fiammata polemica con grancasse mediatiche al seguito. La strategia è additare agli italiani il nemico responsabile dei guai loro e dei conti dello Stato che non tornano: voi pagate, la Chiesa no. Indignatevi! Ridicolo.
Ma non è ridicolo l’obiettivo reale: limitare la presenza cattolica alle sacrestie, purché ben chiuse a chiave. Via scuole, ospedali, oratori, sale di comunità... Via tutto, costi quel che costi. Facendo finta che non sia vero che il colpo sarebbe inflitto anche a tutte le altre onlus, comunque ispirate. I costi di una simile pretesa, come ha sottolineato il vescovo Russo, sarebbero altissimi: potrebbe essere compromessa una rete di servizi che vanno a favore dell’intera collettività. E così l’Italia si troverebbe più disarmata nella battaglia contro miseria, marginalità e solitudini. Un esito paradossale in un tempo di rivendicata mobilitazione contro l’impoverimento della nostra gente. Un gran danno da evitare.