Opinioni

La disavventura di un escursionista. Cronaca di un salvataggio: la grandine è gustosissima

Ferdinando Camon mercoledì 29 luglio 2015
Quando leggiamo il racconto di un salvataggio (càpita spesso d’estate: stava annegando, lo hanno tirato su; s’era perduto, lo han trovato; era incrodato, sono andati a recuperarlo; era in vetta e s’è rotto una gamba, son calati con l’elicottero...), ci immedesimiamo con il perduto che attende soccorso. Forse perché questa è la nostra condizione: abbiamo sbagliato qualcosa, la strada, l’orario, l’equipaggiamento, i compagni, siamo perduti, da soli non ce la faremo, chi possiamo invocare? E come?  Perché (particolare perenne, che ritorna sempre in queste storie) o non abbiamo telefonino, o è scarico, o non c’è campo. Chi può salvarci c’è, ma non riusciamo a chiamarlo. Cosa poteva fare Robinson Crusoè? Aspettare e sperare. Quando si aspetta senza sperare si aspetta la fine. Quando si aspetta sperando si aspetta un inizio.  La vera salvezza è quando aspetti la fine e arriva l’inizio.  Scrivo queste righe sotto il turbamento di una cronaca minore ma memorabile, uscita ieri sui giornali del Veneto: un escursionista dilettante, camminando da solo sull’Altipiano di Asiago, è scivolato dal sentiero, è precipitato per parecchi metri, ha battuto la testa ed è svenuto, rinvenendo ha scoperto che una gamba s’era spezzata, si vedeva l’osso che fuoriusciva. Aveva il cellulare ma non c’era campo, di lì non passava nessuno perché non era su un itinerario turistico, sarebbe rimasto solo e non avendo da vivere sarebbe certamente morto. Dunque era perduto. Non è andata così. Si è salvato, è tornato fra noi, è lui che ci racconta la risalita dalla morte alla vita, dalla perdizione alla salvezza.  Una forza esterna l’ha aiutato. Lui (un vicentino, si chiama Sergio Zaninoni), ha dosato le forze e le risorse per tirare avanti il più possibile. Aveva una borraccia d’acqua, ne ha bevuto un paio di sorsi al giorno, non di più. Aveva solo una barretta di cioccolata, divisa in quattro rettangoli, ne ha mangiato un rettangolo al giorno. Sapeva che non sarebbe bastato. Ed ecco che il terzo giorno piove: la pioggia è una maledizione se ti trovi disattrezzato in montagna, ma è una fortuna se stai morendo di sete. Ma non è scesa solo la pioggia, bensì anche la tempesta. Se ti trovi allo scoperto, ad alta quota, con una gamba rotta, l’osso che sporge dal ginocchio, e ti piove addosso e per di più ti picchia sulla testa una raffica di grandine, pensi che qualcuno vuol farti morire ma prima vuol bastonarti perché tu soffra di più. Invece no: quest’uomo mangia la grandine, e oggi, salvato e ricoverato in ospedale, dice di aver fatto una scoperta: la grandine è gustosissima, è lui che usa il superlativo. Il superlativo gli dev’essere venuto in mente quand’era là, a trascinarsi carponi con la forza dei gomiti, perché il superlativo è eccitante e lui, così eccitato, passava lunghi minuti a pensare quanto la grandine sarebbe stata ancor più gustosa se lui avesse avuto un limone e avesse potuto farsi una granatina.  Potenza della fantasia. Striscia sulla pancia fino a un sentiero, sente voci umane, grida chiamando aiuto ed ecco la salvezza: quello che passava di lì era un prete, che chiama col cellulare la squadra di soccorso, e la squadra invia subito un elicottero.  È una piccolissima (addirittura individuale) storia di salvezza che riecheggia in tutto e per tutto le grandi salvezze collettive.  Primo Levi le chiamava “bibliche”. Penso al futuro del salvato: la sua vita sarà piena di tante cose insignificanti tranne una, grandiosa, la montagna di luce che illumina tutto il resto: il momento della salvezza. Penso agli uomini che scelgono per professione di salvare gli altri, e vanno in giro a cercarli, rischiando la propria vita per salvare l’altrui. Questo salvato di Asiago non sa neanche il nome del suo salvatore. Lo sta cercando. Spero che questo articolo lo aiuti a trovarlo.