Questa festa e il suo senso. La grande speranza
Una straordinaria giornata di festa. Il sole di Roma non poteva essere più limpido, il vento più leggero. Una festa di quelle che si ricordano per sempre - su centinaia di pullman da tutta Italia le scolaresche in viaggio nella notte, prima vocianti e ridenti, e infine, al casello di Roma, addormentate.Trecentomila in piazza San Pietro, e giù, fino a Castel Sant’Angelo, venuti a testimoniare che cosa è la scuola, nella vita di un Paese. Cos’è? «È un atto di speranza che si rinnova ogni mattina», ha detto il cardinale Bagnasco; e il cielo sa quanto bisogno abbiamo, di questa speranza.
Per una volta, Roma invasa da una moltitudine che non protestava, non gridava, ma semplicemente affermava la volontà e il desiderio di una scuola buona. Di una «bella strada», come ha detto il Papa, che faccia crescere «mente, cuore, e mani, insieme, armoniosamente. Perché nessun talento rimanga sepolto, ma diventi dono per gli altri».
La scuola di cui si è parlato in San Pietro non è però un’astrazione che ignora gli edifici cadenti, o i numeri della dispersione scolastica. I problemi ci sono, e si sanno. Ma ieri è parso che quella quantità di ragazzi e insegnanti abbia voluto affermare, comunque, la consapevolezza che la scuola è prima di tutto un grande bene; una risorsa su cui non lesinare investimenti, proprio nel momento di crisi del Paese. Come una terra da coltivare fiduciosamente, con tenacia e pazienza.Quale scuola? Qualcosa di diverso dall’idea di certa cultura pragmatista, che vede nella scuola solo la catena di montaggio della futura forza lavoro. Un luogo invece che accoglie, e non scarta ( e il Papa ha citato a modello di educatore don Lorenzo Milani). Una scuola che non dia solo nozioni, ma formi l’intera persona. È quella di cui ha esperienza Bergoglio, che ha ricordato la sua maestra delle elementari, cui è rimasto per sempre legato. È la scuola di cui molti anziani hanno memoria. E i ragazzi? Una indagine condotta dai giornali scolastici dei licei milanesi pochi giorni fa chiedeva agli studenti di dare un voto ai professori. Sorpresa: oltre l’80 per cento ha dato un giudizio buono, o addirittura ottimo. Un segnale che nella giornata di ieri è sembrato manifestarsi coralmente: con tutti i suoi problemi, la scuola italiana è tuttavia quella ricchezza umana - quella grande speranza che si rinnova ogni mattina, alle otto. E davanti al Papa il ministro Stefania Giannini ha affermato un diritto di studiare di tutti, «senza distinzioni e senza pregiudizi, alle medesime condizioni» - e forse alcuni in piazza hanno sperato di poter fare meno fatica, in futuro, per garantire la educazione che vogliono ai loro figli. Roma però ieri non era rivendicazione, ma festa. Festa per la scuola, luogo, secondo Francesco, di «apertura alla realtà», di incontro, di «ricerca del vero, del bene e del bello». Centro di un patto antico fra generazioni, per cui ciascuna riceve, e ciascuna passa il testimone.In piazza un professore universitario si è domandato: «Troveranno questi ragazzi, fra gli adulti, dei testimoni credibili del grido di bellezza e felicità che hanno nel cuore?». Sì, finché ci saranno insegnanti come la suora del Rione Sanità di Napoli che su Tv 2000 ha detto: «I miei studenti, sono la mia vita». Perché l’essenza della scuola è un maestro e un alunno, l’essenza della scuola è un rapporto umano. Tutto nasce, o non nasce, da lì. Ci resterà in mente di Roma, come un insegnamento, il proverbio africano citato dal Papa : «Per educare un figlio ci vuole un villaggio». Ci vuole una comunità intera che si chini sui figli suoi e degli altri, e trasmetta loro la voglia di continuare la storia. L’urgente compito che ci riguarda, tutti, verso quei ragazzi tornati a casa a tarda notte, rossi del sole di Roma, sfiniti, contenti.