La grande ossessione della resa dei conti. Gli Usa e il ritorno alle sanzioni all’Iran
Chissà se finirà poi davvero con l’essere un giorno storico, come ha subito proclamato un trionfante Netanyahu. Ma l’auspicio è soprattutto che non finisca con l’esserlo in negativo, una macchia nella storia delle relazioni internazionali americane. La reimposizione delle piene sanzioni economiche, commerciali e finanziarie contro l’Iran è una mossa emblematica per l’Amministrazione Trump, sempre più arroccata in una linea politica che nulla sembra voler concedere al dialogo con Teheran.
E non potrebbe essere altrimenti, vista la presenza nei punti chiave del potere di personaggi come Pompeo, Bolton, il genero Kutcher, che rappresentano l’ala profondamente anti-iraniana e schiacciata sulle posizioni di Arabia Saudita e Israele. Ma allo stesso tempo con il ritiro, unilaterale e immotivato, dall’accordo nucleare con l’Iran, Trump ribadisce la propria ossessione verso la passata amministrazione Obama, che questo accordo volle a tutti i costi, nel tentativo di smantellarne tutti i suoi lasciti.
Queste sanzioni sono da leggere, allora, anche come mossa all’interno del Paese, non solo come atto di politica estera. Risulta poi evidente come il programma nucleare iraniano c’entri ben poco in questa decisione: Teheran sta rispettando tutti i termini dell’accordo, come ribadisce anche l’Agenzia atomica internazionale (Aiea).
Dietro la scusa del cattivo accordo nucleare vi è l’antica e sempre frustrata ossessione della destra americana di vendicare l’umiliazione della presa degli ostaggi nel 1979, sull’onda della rivoluzione iraniana, e di provocare la caduta dell’odiata Repubblica islamica (il celebre regime change). L’obiettivo vero è quindi sfruttare le storture della inefficiente economia di quel Paese per provocarne il collasso.
Infine, esse sono anche la rappresaglia per il successo geostrategico dell’Iran nella regione mediorientale: tutte le maldestre mosse attuate da Washington e dai suoi alleati (Arabia Saudita prima fra tutti) negli ultimi due decenni per ridurre il peso geopolitico di Teheran hanno dato effetti controproducenti, tanto che oggi il peso regionale dell’Iran si è rafforzato, rinsaldando la presa su Paesi come Libano, Iraq e Siria. Insomma, le sanzioni sono figlie di molte ragioni e obiettivi. Forse troppi per essere veramente efficaci.
Perché, come sempre, esse danno effetti paradossali e poco prevedibili. Non v’è dubbio che faranno del male all’Iran, limitandone le vitali esportazioni di petrolio, ma è discutibile che riusciranno a far crollare il regime o anche solo a spingerlo a più miti consigli. Innanzitutto, perché le sanzioni funzionano tanto più sono condivise. Nel 2012 ebbero grande successo proprio perché appoggiate da tutto l’Occidente. Ora, invece, la stessa Unione Europea le condanna e promette di contrastarle. Non che ci facciano veramente conto in molti, vista la debolezza di Bruxelles.
Ma sono troppi i Paesi che non le condividono, soprattutto nell’Asia assetata di petrolio. Lo dimostrano anche le esenzioni temporanee che Washington ha dovuto accettare: noi italiani siamo riusciti a ottenerle, ma soprattutto Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Turchia. Ossia tutti i principali importatori di petrolio iraniano. Uniti alla Russia, permettono a Teheran di guadagnare mesi per studiare contro-strategie.
Ma l’altro dubbio riguarda le “vittime” di queste sanzioni: la popolazione iraniana pagherà un conto salato, e lo ha già messo in conto. Che questo si traduca in aperte rivolte strutturate sembra più un’illusione di chi non conosce i meccanismi interni del grande Paese guidato dagli ayatollah che una possibilità concreta.
E colpito sarà anche il governo del presidente moderato Rohani, che aveva puntato tutto sull’accordo internazionale e sulla ripresa delle relazioni con l’Occidente. Il suo esecutivo appare oggi fortemente in difficoltà. Alla parte più dura del sistema di Teheran e ai pasdaran, in fondo, va bene così. L’emergenza e la difesa della Repubblica islamica sono una coperta perfetta per proteggere il loro potere e i loro eccessi, lasciando i moderati a consumarsi nelle difficoltà del momento. Come già accaduto tante volte in passato, le sanzioni anche questa volta non spingeranno alla moderazione, ma rinforzeranno le reciproche radicali ostilità.