Teresio Olivelli. La forza decisa e mite del «ribelle per amore»
«Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e carità. (...) Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore».
Sono alcuni brani della commovente preghiera composta insieme a Carlo Bianchi dal beato Teresio Olivelli, morto nel lager nazista di Hersbruck dopo aver dato testimonianza di carità e fede cristiana nei campi di concentramento nazifascisti di Fossoli, Bolzano-Gries e Flossenbürg. Fu partigiano convinto, ma non sparò al nemico e si ribellò all’odio. Nel lager morì per le ripetute percosse a nemmeno 30 anni per aver cercato di proteggere dalle botte degli aguzzini un prigioniero ucraino. La sua biografia di credente ha uno straordinario parallelo con quella di un altro beato lombardo, anch’egli alpino, don Carlo Gnocchi.
Ed entrambi, agli altari per la grande testimonianza di fede offerta in momenti di eclissi totale dell’umanità, ripercorrono storicamente la parabola di tanti italiani di quegli anni bui. Olivelli era infatti iscritto alla gioventù fascista perché chi era giovane negli anni 30 del Novecento non aveva alternative, ma non era caloroso con i riti e liturgie del regime. Provò a essere cattolico sotto il fascismo, ma era innaturale. Dopo la ritirata di Russia, il 25 luglio e l’8 settembre 1943, davanti allo sfascio disse basta e salì sui monti da partigiano diventando «ribelle per amore».
Teresio Olivelli fu difensore dei poveri e degli ultimi anche in luoghi dove l’umanità doveva esser annientata, ma la sua figura ricorda che in quel periodo storico ci fu in questo Paese anche una resistenza cattolica nata nelle parrocchie, portata avanti da credenti che vollero ribellarsi alla dittatura anche senza praticare la violenza. Solo l’Azione Cattolica conta 1.279 soci e 202 assistenti ecclesiastici uccisi. Trovarono tutti il coraggio e le motivazioni nella propria coscienza e grazie alla fede seppero andare avanti fino all’estremo sacrificio. Olivelli si mise dalla parte dei perseguitati come i giovanissimi scout milanesi e monzesi delle “Aquile randagie” che clandestinamente (il regime aveva abolito lo scautismo) si riunivano nell’isolata Val Codera e aiutavano gli ebrei a scappare in Svizzera.
La figura dell’alpino e partigiano Olivelli, che la Chiesa ha proclamato Beato per la sua cristiana santità, ha anche per questo una grande e straordinaria attualità. Ricorda, infatti, alla coscienza, specialmente in questi mesi cupi in cui tornano a serpeggiare falsi miti mai estirpati come quelli dell’«uomo forte» e della «razza», quale deve essere la risposta radicalmente evangelica del credente che si schiera contro l’odio, per la libertà e il bene comune.
Nelle parole della preghiera, (che fecero conoscere a tanti ragazzi come me molti anni fa due cattolici diversi tra loro eppure a lui devoti come Rocco Buttiglione e l’indimenticabile Giovanni Bianchi) c’è tutto quanto serve a trovare forza e coraggio per dare una testimonianza di carità, amore e di forza senza usare le armi. Recitiamole ogni 25 aprile, mentre ascoltiamo “Bella Ciao”, per essere sempre pronti a diventare – se la Storia lo chiede – ribelli per amore.