Opinioni

Conflitti. La «formula italiana» della pace che ha fatto storia in Mozambico

Angelo Picariello mercoledì 5 ottobre 2022

Un accordo frutto di coraggio, spirito di intrapresa, trattative pazienti. Nella foto i negoziatori dell’Accordo di pace per il Mozambico, siglato nel 1992

Il 4 ottobre 1992, a Roma, nella ricorrenza di San Francesco patrono d’Italia e santo della pace, Joaquim Chissano, presidente del Mozambico e segretario del FreLiMo (Fronte per la liberazione del Mozambico), e Afonso Dhlakama, leader della ReNaMo (la Resistenza nazionale mozambicana), firmarono un Accordo di pace dopo 16 anni di una guerra civile che aveva causato più di 1 milione di morti e 4 milioni di profughi, al termine di un processo negoziale durato più di due anni tenutosi a Trastevere, presso la sede della Comunità di Sant’Egidio, all’ex convento delle Carmelitane, nell’omonima piazza.e

Questa storia ci dice oggi che la pace è un processo che richiede coraggio e spirito di intrapresa. E che, una volta faticosamente raggiunta, non è conseguita per sempre, come dimostrano i venti di guerra civile che imperversano di nuovo nel Nord del Paese. Ma il messaggio di speranza che viene, nonostante tutto, da questa terra lontana, ci dice anche che la pace non è affare che riguarda solo governanti ed eserciti in lotta, chiamando in causa anche il contributo degli uomini di buona volontà. L’allora segretario generale dell’Onu Boutros-Ghali, parlò di «formula italiana» per la pace. Due 'facilitatori' favorirono il buon esito della trattativa, iniziata nel luglio 1990. Il primo fu proprio Sant’Egidio, attraverso il fondatore Andrea Riccardi, e un giovane sacerdote, don Matteo Zuppi, allora viceparroco di Santa Maria in Trastevere, oggi cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Il secondo fu il governo italiano, rappresentato da Mario Raffaelli, deputato socialista della Commissione Esteri e più volte sottosegretario.

Decisivo fu però il ruolo di Jaime Pedro Gonçalves, arcivescovo metropolita di Beira, seconda città del Paese, scomparso nel 2016, che era stato anche presidente della conferenza episcopale mozambicana. La 'rivolta dei Garofani' nel 1974 aveva condotto il Paese all’indipendenza dal Portogallo, spingendolo però sotto l’influenza della Russia che finanziava i rivoluzionari del FreLiMo. Questo movimento di ispirazione marxista, una volta al potere, era finito a sua volta nel mirino di una guerriglia di segno opposto, quella della ReNaMo, formazione conservatrice messa in piedi dai servizi segreti della Rhodesia e sostenuta anche dal confinante regime sudafricano. La Chiesa mozambicana era accusata di esser stata troppo benevola verso i dominatori portoghesi e contava quasi esclusivamente sacerdoti 'bianchi'. Monsignor Goncalves era invece un giovane presule 'nero' del nuovo corso seguito all’indipendenza, e si trovò a fare i conti con il nuovo regime che voleva spazzare via anche la Chiesa, dopo essersi liberata dei dominatori portoghesi. Era venuto a Roma nel 1976, per chiedere aiuto. Sotto il governo marxista instaurato da Samora Machel il 25 giugno dell’anno precedente, i sacerdoti non potevano nemmeno suonare le campane, i seminari venivano chiusi e le proprietà della Chiesa confiscate. «Incontrammo Goncalves a Roma. Diventammo amici. Eravamo affascinati dalla storia di questa Chiesa 'nera', che aveva preso un sacco di botte prima dai confratelli e ora dal potere comunista», confidò don Zuppi nel 1992, dopo gli accordi di pace. Per aiutare la fragile Chiesa mozambicana oppressa dal regime marxista, fu investito di una mediazione persino il partito comunista di Enrico Berlinguer, poi anche il nunzio a Mosca Francesco Colasuonno, che conosceva bene il Mozambico dove era stato delegato apostolico.

La guerra civile aveva continuato a imperversare mettendo a rischio la tenuta del fragile Stato sudafricano. Ma il contesto geopolitico offrì fra il 1989 e il 1990 una finestra di opportunità, per il contemporaneo declino dei regimi di riferimento delle due fazioni in lotta, l’impero sovietico e l’Apartheid nel confinante Sud Africa. Una volta allentata la tensione con i marxisti al potere la Conferenza episcopale mozambicana si adoperò per entrare in contatto anche con i capi della guerriglia del ReNaMo. Ottenuto il contatto fu ancora una volta l’arcivescovo Goncalves a chiedere agli amici di Sant’Egidio, stimati da tutti per l’opera di aiuto portata ai profughi, di tentare la difficile mediazione. «Conoscendo le sofferenze del popolo del Mozambico, non potevamo restare indifferenti. Si affermò in noi la convinzione che la pace è sempre possibile ed è nella mani di ciascuno», ha detto il cardinale Zuppi, a Maputo, lo scorso agosto, ricordando il trentennale dello storico accordo.

Per Sant’Egidio, il successo di quel processo di pace fu l’inizio, non la conclusione, della presenza in Mozambico, dove ha promosso decine di scuole della pace, consentito a migliaia di bambini - attraverso il progetto Bravo! - di essere registrati all’anagrafe; e a circa 200mila persone di essere aiutate, nell’ambito del progetto Dreams, a prevenire la malaria, la tubercolosi, e soprattutto l’Hiv, piaga quest’ultima che in molte zone tocca oltre il 20% della popolazione. Nel luglio scorso l’ultimo sorriso a Sergio Mattarella, in visita nel Mozambico quando iniziava già a profilarsi la fine dell’unità nazionale guidata da Mario Draghi, lo regalarono i canti festosi delle volontarie del Centro Dreams di Zimpeto, molte di loro salvate a suo tempo dall’Aids. «Un simbolo dei rapporti intensissimi tra l’Italia e il Mozambico». lo definì il Capo dello Stato.

Tra i 'facilitatori' dell’intesa tra il governo di Maputo, il Fronte di liberazione e la Resistenza,
c’erano Andrea Riccardi e Matteo Zuppi, allora viceparroco di Santa Maria in Trastevere,
oggi cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei

Rapporti rafforzati ora con un progetto di cooperazione promosso dalla Farnesina che prevede, fra l’altro, opere in agricoltura, sanità e istruzione. Ma in questi mesi di grave crisi energetica è stata l’Italia a chiedere aiuto al Mozambico per attingere alle enormi potenzialità estrattive del gas che possiede, che sarebbero in grado di collocarlo fra i primi produttori al mondo. Ma nella regione del Nord di Cabo Delgado i grandi progetti estrattivi della francese Total, dei cinesi di Cnpc e degli americani di ExxonMobil, sono diventati concausa della guerriglia che da ottobre 2017 ha prodotto circa 3mila morti e 900mila sfollati. I progetti, comportando massicci espropri di terreni, hanno alimentato la rivolta e si sono dovuti fermare, mentre va avanti il grande piano offshore dell’Eni di una piattaforma galleggiante in mare, che non intacca le proprietà dei contadini.

Abbandonata progressivamente la matrice marxista/rivoluzionaria, il FreLiMo continua a esprimere la guida politica del Paese con il presidente Filipe Nyusi. La ReNaMo, invece, sempre rimasta all’opposizione, non ha mai smobilitato la sua fazione armata, e dopo le elezioni contestate del 2019 gli oltranzisti hanno ripreso la guerriglia. In questo quadro politico sconnesso la rivolta anti occidentale contro le multinazionali del petrolio è diventata propellente per l’infiltrazione dei fondamentalisti di al-Shabaab. In una di queste incursioni è stata uccisa un mese fa la missionaria comboniana veneta suor Maria de Coppi. Nei suoi 59 anni di missione in Mozambico, di cui era ormai cittadina, ha intercettato gioie e dolori di un popolo in lotta perenne e alla perenne ricerca della pace. Scampata già a un agguato armato dei guerriglieri, suor Maria raccontava sempre di quel 4 ottobre di 30 anni fa, quando fu invece la pace - lei incredula - a fare irruzione in convento: «Venne un catechista avvisandoci che stava arrivando un gruppo di guerriglieri ReNaMo, ma ci disse di non scappare perché era stato sottoscritto l’accordo di pace. Abbiamo preso paura perché temevamo le solite violenze. Invece i guerriglieri sono venuti da noi e dai militari e ripetevano 'Pace, pace'. Tutti danzavano e io mi domandavo se era realtà o sogno, perché fino al giorno prima i guerriglieri rapivano e uccidevano».