Opinioni

La festa. Così con l’Ascensione superiamo anche la fine dell’universo

Luca Peyron sabato 11 maggio 2024

Parigi, 1824, duecento anni fa esatti. Un ragazzo di appena 27 anni cambia per sempre la nostra comprensione dell’universo. E della morte. Si chiama Nicolas Léonard Sadi Carnot e pubblica Réflexions sur la puissance motrice du feu, un testo che pone le basi di quella che Lord Kelvin chiamerà termodinamica.

Sappiamo che moriremo tutti. Carnot accompagna con l’ardore di un giovane lo sguardo sino al confine ultimo del tempo, nello spazio, portandoci in pochi anni a scoprire che morirà anche l’universo. Cominceranno a spegnersi le stelle, dopo aver consumato tutto il loro carburante, e poi via via tutto il resto, passando per i buchi neri e giungendo allo zero assoluto. Forse resteranno fotoni vaganti, ma in un universo freddo e ormai spento. È la morte termica, ed è dovuta a quanto descritto nel secondo principio della termodinamica, definito da Einstein la legge più importante della fisica. Esso è riassunto nell’enunciato del fisico Rudolph Clausius: «È impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia il passaggio di calore da un corpo a temperatura minore a un altro a temperatura maggiore».

Il caldo diventa freddo, o meglio, la differenza di temperatura tende all’equilibrio, e indietro non si torna. Non accadrà domani, ma tra 10 elevato alla 100 anni. Un numerino piuttosto imponente. Giorno più giorno meno. La notizia da trattenere è che il mondo si spegnerà. Tutto il cosmo. Per meglio dire, il mondo arriverà ad un equilibrio termico pari allo zero assoluto.

Duecento anni fa abbiamo riscoperto così una verità decisiva, che la scienza racconta a modo suo: nulla di quanto è sotto i nostri occhi è eterno. Neppure l’universo. Tutto ha una fine. Ma non dobbiamo aspettare la fine dell’universo per sentire quel freddo, per vivere l’angoscia di quel nulla, per temere la solitudine assoluta nel non avere più nulla da dare e nessuno disposto a darci qualcosa. Quante vite oggi sono già prossime allo zero assoluto, anche se il loro cuore batte ancora.

La celebrazione dell’Ascensione di Gesù, che la Chiesa ci propone questa domenica, ci dice però che tutto ha, soprattutto, un fine. Disse Gesù prima della Passione: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me». Gesù torna al Padre e dona una pace unica perché si mette alle spalle la morte, ogni morte, ogni nulla. Apre la strada che porta l’oltre.

Paolo ai cristiani di Colossi, la racconta così: «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra [...]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono». Una riflessione – per fare il verso al giovane Carnot – sulla forza motrice del fuoco che non si spegne, l’amore di Dio. Se l’idea di morire assale il nostro cuore e l’idea che l’intero universo si spegnerà, se il futuro o il presente sono silenzio e inerte freddo, con l’Ascensione celebriamo l’evento decisivo che porta l’umano dalla terra al Cielo, direttamente nel cuore della Trinità, dove né ladro, né tignola, né principi della termodinamica possono strapparci via.

C’è una luce che non si spegne, una forza che non demorde, un bagliore che non è destinato a vagare solitario in un cosmo vuoto. La nostra speranza non è nei cieli ma “nei cieli dei cieli”. L’inizio del tutto che si muove inesorabilmente verso la fine di tutto ha trovato un fine per tutto che tutto riassume e glorifica al di là dello spazio e del tempo. Un nuovo cosmo, un nuovo ordine, che risponde alla relazione e non alla connessione, all’amore perpetuo come unica forza gravitazionale che tiene insieme quanto non si allontana più.

L’Ascensione è la storia di un rapimento verso l’oltre e l’Altro, un rapimento d’amore di un corpo ferito dal male ma non vinto dal nulla. Un calore che non tende a un equilibrio di morte ma che si rigenera continuamente nella dinamica del dono di sé in un equilibrio di vita, per sempre. Per te.