La tragica morte di quattro persone nel Pavese. La fatica e l'amore di chi munge mucche
Erano mungitori le quattro persone morte in un’azienda lattiera del Pavese, tutte e quattro di origine indiana. L’ultimo era arrivato da appena un mese. Ci sono altri indiani nella stessa azienda: tutti mungitori, proprietari compresi. Li capisco. È un lavoro che ti trattiene. Se lo cominci, non lo smetti.
Figlio di contadini, da piccolo ho lavorato sui campi e conservo uno straziante ricordo del rapporto tra fatica e risultato: tu sudi come una fontana, ma quel che semini cresce di giorno in giorno. Quando comincia un nuovo giorno corri sui campi a vedere quanto s’è allungata la vegetazione durante la notte. Lo so, l’azionista controlla ogni giorno quanto valgono le sue azioni, ma non è la stessa cosa: le azioni possono tracollare e azzerarsi, il frumento mai. Con le mucche è un rapporto 'personale', tu le accudisci e loro voltano la testa e ti guardano con fratellanza. All’alba ti aspettano. Se ritardi, ti chiamano mugolando, perché il troppo latte gli fa male. Mio fratello, contadino, per fargli capire che era arrivato, gli grattava le giogaie, e loro stendevano il collo per essere grattate meglio. Il rapporto personale s’impianta quando la mucca partorisce, lei sta male e non capisce niente, l’intera famiglia di contadini l’aiuta e quando lei si trova il figlioletto accanto gli vuol bene e lo lecca con la lingua raschiosa ma così lo spella e allora la contadina cosparge di sale il vitellino, la mucca starnutisce perché il sale è amaro, e guardando la donna protesta mugolando: 'Perché me lo hai tutto salato?'.
Mungere è un’arte. Adesso ci sono aziende che abbinano un’altra arte, la musica: dicono che ascoltando musica le mucche si rilassano e il latte sgorga meglio, ho letto anche articoli in cui si ragionava sui musicisti più graditi alle mucche. Ma noi la musica non l’abbiamo mai usata. Ignoro se questi fratelli sikh la usassero. Avevano un allevamento enorme, oltre 500 capi. Da noi ogni capo ha un nome, ma con 500 nomi fai confusione. I padroni non sono più contadini. Sono imprenditori. Fare i mungitori non è un mestiere faticoso ma è stressante, perché ti devi mettere in testa un principio che non ti piace: le mucche vengono prima di te. È sabato? È domenica? Tutti gli altri vanno a divertirsi? Tu non puoi, le mucche han bisogno di essere munte, come tutti gli altri giorni. Fare il mungitore è una schiavitù. Se non l’accetti non puoi fare il contadino. E così succede che i figli di contadini non vogliono più fare i contadini e se ne vanno. Al loro posto arrivano gli indiani. Il lavoro è la loro libertà, e mungere è una schiavitù che li libera.
Lavorare sporca, e lavorare nelle stalle sporca di più. Nelle stalle il letame e l’urina degli animali sono conservati come concime e sparsi nei campi arati. Questo concime animale produce un gas tossico che prima stordisce poi uccide, non puoi immergerti in una vasca perché rischi la vita. Ho visto famiglie di contadini, quando all’ora di pranzo mancava un figlio, correre con la morte nel cuore e pescare con una pertica nella vasca, casomai il figlio fosse caduto lì. Lavorare in agricoltura ha i suoi pericoli, e questo è il maggiore. Un altro è spruzzare gli anticrittogamici sui frutteti. Li avveleni, ma avveleni anche te. Guai.
Uno di questi indiani, uno solo, il primo, è stato incauto, ha respirato il gas tossico e s’è stordito. È morto per incautela. Gli altri sono morti per salvarlo, cioè per amore. Amavano anche questo lavoro. Un proverbio cinese dice che amare il proprio lavoro è una fortuna. Quattro nuovi indiani erediteranno questa amara fortuna.