Non immaginavamo di certo che un improvviso (e un po’ improvvisato) dibattito parlamentare d’agosto potesse segnare una svolta nella gestione politica della strana e feroce crisi, che sta divorando tesori e tesoretti finanziari d’Italia e rischia di rendere ancora più schiacciante il peso del nostro immane debito pubblico sul presente dei cittadini semplici e sul futuro comune. Ma avevamo osato sperare che quel dibattito rivelasse, pur nell’ovvio dissenso tra maggioranza e opposizioni, almeno un minimo comun sentire e una disponibilità a convergere sulle grandi e condivisibili priorità che, all’immediata vigilia dell’appuntamento a Montecitorio, erano state richiamate anche dal Quirinale e da Bankitalia. E, soprattutto, in questo tempo condizionato da poteri forti e democraticamente irresponsabili, ci eravamo augurati che dalle grandi “voci” della politica italiana si levasse una risposta talmente assonante da far argine a giochi e speculazioni dei “signori dei mercati” sulla pelle di un Paese giudicato debole e diviso e, perciò, “inaffidabile”, “svalutabile” e “contendibile”.La risposta a queste attese è risultata purtroppo parziale e largamente deludente, eppure non del tutto sconfortante.Certamente ha deluso un presidente del Consiglio che non ha saputo e potuto offrire niente di nuovo e di davvero mobilitante a un Paese reale tanto intimorito e sfiduciato quanto irato ed esigente con chi lo rappresenta e lo governa. Ma non è sfuggito che, al di là del dosaggio dei toni, come sempre capace di dividere l’emiciclo, Silvio Berlusconi abbia rivelato un’inedita propensione a fissare la cornice di un messaggio rassicurante (solidità del Sistema Paese, fedeltà agli obiettivi di bilancio concordati con la Ue, impegno ad azzerare il fabbisogno per l’anno in corso) lasciando sostanzialmente in bianco il quadro delle misure da concordare con parti sociali e interlocutori politici. Una porta aperta, insomma.Certamente hanno deluso anche i capi delle opposizioni di centrosinistra che hanno invocato l’uscita di scena di un governo palesemente azzoppato in alcuni uomini chiave e, da mesi, in evidente debito di ossigeno e di idee, senza però avere in tasca una soluzione di ricambio: non ci sono esecutivi tecnici all’orizzonte e neppure elezioni anticipate dietro l’angolo. Nessuno si aspetta da Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro la costruzione di una disinteressata stampella per il governo Berlusconi–Bossi–Scilipoti, ma forse questo era il momento di dimostrarsi capaci di offrire un intelligente e interessato puntello alle opere di difesa comuni. Non inattesa ma ugualmente interessante, forse l’unica vera nota positiva del confronto di ieri alla Camera, è stata la scelta dell’Udc di tenere i piedi per terra e gli occhi fissi sul problema, sino a proporre un “agosto di lavoro” per Parlamento, parti sociali e, naturalmente, governo. Pier Ferdinando Casini avrà fatto i suoi calcoli, ne siamo certi. Ma è un fatto che ha soprattutto trovato la lucidità per dimostrare che cosa può significare mettere in campo, in momenti cruciali per la vicenda nazionale, una politica di «opposizione responsabile». E che il segnale sia venuto dall’opposizione numericamente più piccola lo rende persino più interessante.Perché la verità – se ci si misura seriamente con i numeri parlamentari e con quelli degli indici economici – è che non ci sono chimere crisaiole da inseguire (rischiando di aggravare la difficoltà finanziaria senza ottenere la caduta del governo), ma obiettivi di giusta austerità e di calibrato investimento da perseguire. Qui, ora. La parola magica è “crescita”, e non c’è bisogno di magie per darle urgentemente corpo bensì della fatica e del coraggio di proporre sacrifici sensati e ben spiegati e di compiere scelte (fiscali e di indirizzo delle risorse oggi mobilitabili) concrete e condivise. Il confronto con le forze sociali che si apre oggi è parte ineliminabile di questo lavoro. Siamo ormai entrati, l’abbiamo annotato più volte, in una fase politica nuova, che l’attuale Parlamento interpreta poco e male e che, perciò, imporrà una radicale riorganizzazione del vecchio bipolarismo. Proprio per questo, ci sembra più che mai utile e necessario che chi si candida a vivere positivamente questa transizione sappia dire (e confermare coi fatti) all’opinione pubblica interna e agli osservatori internazionali che le debolezze e le divisioni politiche italiane non arrivano sino all’autolesionismo.