La Lettera apostolica di Francesco. Se la fantasia della misericordia è «rivoluzione»
Il Buon Samaritano in un dipinto di scuola lombarda del XVII secolo
«Non crediamo più che qualcuno in questo mondo possa aiutarci», ecco le parole che venivano da Aleppo fino a pochi giorni dal Natale. Il tono del giovane uomo era rassegnato, ma lo sguardo altèro, tipico della gente di Siria e di chiunque denunci la verità. La scena tragica dell’attualità richiama una 'gemella' antica, famosa nella Bibbia: quella degli ebrei schiacciati dalla schiavitù e dalla morte dei loro bambini, nell’Egitto dei Faraoni. Anch’essi compresero, a un certo punto, che sulla terra nessuno potesse più aiutarli, per questo alzarono al cielo il loro grido. Qualcuno, forse, da lassù avrà compassione per noi, dovettero pensare. E così fu. Nell’ubbidienza e nella fedeltà a una simile querela, è scritta la meravigliosa Lettera apostolica Misericordia et misera che papa Francesco ha consegnato alla Chiesa, alla fine dell’anno giubilare. «Come un vento impetuoso e salutare, la bontà e la misericordia del Signore si sono riversate sul mondo intero», egli constata con soddisfazione, per cui adesso è: «tempo di guardare avanti» di incarnare, di metabolizzare un dono così grande. È l’ora, insomma, che la Chiesa si faccia strada di cielo, per coloro che gridano, in tanti e da tante parti ancora sulla terra. Dopo la rugiada del dono della Misericordia, la Chiesa adesso deve arare il campo su cui quella è caduta, mettendo anche il proprio sudore, affinché «la steppa fiorisca».
Veramente esigente è il 'compito a casa' che Francesco assegna alla Chiesa del post-Giubileo: ciò che deve mettere in atto si chiama conversione pastorale, un concetto già espresso nella Evangelii Gaudium (cf EG 25-33). Di che si tratta? Di un lavoro che la Chiesa deve fare, anzitutto, con sé stessa. Un impegno che protegga il Giubileo, dalla deriva di essere un mero atto devozionale, o un rito esteriore che lascia il tempo che trova, e lo riconosca, invece, come un’esperienza che «cambia la vita». E ancor più il Giubileo della Misericordia, il quale ha riversato su ogni cristiano «lo sguardo amoroso di Dio in maniera così prolungata che non si può rimanere indifferenti». L’impegno è, dunque, ad intra, coinvolge il soggetto 'Chiesa' nella sua capacità di muoversi davvero, di entrare in precise prospettive, di assumere dirette responsabilità; nei suoi metodi, nei suoi linguaggi, nei suoi fondamenti teologici e spirituali. Il maestro che assegna un compito tanto difficile e importante, non si sottrae, però, al dovere di spiegarlo e di accompagnare l’allieva/sorella con gli strumenti necessari per farlo.
La conversione pastorale – indispensabile per condurre la nuova evangelizzazione – ha, innanzitutto, una linfa vitale da cui ogni esperienza di fede attinge ed è la gioia. Fiore raro e affatto diverso dalla felicità, o dal benessere, la gioia è figlia del perdono. Essa è come la spuma che si ricama sull’onda del mare della misericordia di Dio! Lo splendore che apre il sorriso di chi sa di essere (stato) amato. Senza questa gioia non c’è Vangelo, non c’è modo, cioè, di «celebrare la misericordia». Ed ecco il primo grande capitolo dei compiti a casa: l’attenzione alla liturgia eucaristica e – al suo interno – specialmente, alla liturgia della Parola. «La Bibbia è – infatti – il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio», una narrazione che attesta un «dialogo costante di Dio con il suo popolo», e non consiste, al contrario, in un codice astratto di regole cui si debba semplicemente sottostare.
Occorre che la Chiesa re-impari a leggere, ad ascoltare, a meditare, a interpretare, a 'spezzare' la Parola biblica. «È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia». Un compito già assegnato dal Concilio e che viene riproposto con forza e grande slancio da Francesco, poiché individuato come essenziale per «vivere la carità». Dalla Scrittura, infatti, non solo trova «sostegno e crescita» la vita spirituale, ma si alimenta anche la vita per così dire corporale della Chiesa che è tema del secondo grande capitolo dei compiti a casa per il dopo-Giubileo. Esso riguarda lo spazio e, soprattutto, il tempo, in un impegno radicale e costante che articoli il presente al futuro. Tanti sono i fronti su cui si esprime questa inevitabile e urgente messa in gioco della Chiesa.
Molte cose si raccomandano ai sacerdoti: innanzitutto di preparare bene l’omelia, in modo che tutti possano accedere al messaggio dello Spirito, che è il seme di ogni testo biblico. Poi di trasmettere la bontà del cuore di Dio nel Sacramento della Riconciliazione. Perché «nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio» Francesco concede anche a tutti i sacerdoti «la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto»: segno di un Amore più grande dei più grandi delitti. E infine il servizio di assolvere al ministero della Consolazione: fatto di carezza e di silenzio, di mani che asciugano le lacrime, parole che spezzano le solitudini, presenze che sciolgono la disperazione.
Anche per le coppie cristiane i compiti non mancano: innanzitutto quello di «far emergere il grande valore propositivo della famiglia»: indicarla come un luogo di bellezza e di una più autentica e alta umanità, senza minimizzare sulle tante complessità da affrontare per custodirla e fasciarne le ferite. E poi il compito della carità verso i casi e le età della vita, la pietas verso i morenti e i defunti, l’invito a «chinarci sui fratelli» per essere testimoni della tenerezza divina, in ogni circostanza. «La fantasia della misericordia» insomma, non è un tema a scelta, ma creatività che ogni cristiano è chiamato a liberare. Inventando forme sempre nuove e opportune di risposta a chi ha fame e sete, a chi non ha un lavoro, a chi si trova costretto ad emigrare, a chi è in cerca di casa e di pace. A chi è ammalato, a chi è carcerato, a chi è analfabeta.
Contro «la cultura dell’individualismo» e contro l’idea assurda che la fede sia un’istanza privata, Francesco ricorda che compito di tutta la Chiesa è una «rivoluzione culturale» in cui la «misericordia come valore sociale» deve rispondere a «costruire una città affidabile». Deve collaborare al servizio della politica che l’Evangelii Gaudium aveva già ricordato, con parole sorelle di quelle di Paolo VI, come «una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (205). Impegno, condivisione, partecipazione, solidarietà, cura, sono le parole evocate, innanzitutto, verso i poveri, gli scartati, quelli che sono nudi come il Signore sulla Croce e come ogni creatura che esca dalle fragili viscere di Adamo. «Lo Spirito Santo ci aiuti a essere pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e la vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano impegno concreto» chiede con forza, a tutti, la Lettera Apostolica. Per far ciò si deve «uscire dall’indifferenza» e dalla tentazione di fare «una vita comoda senza problemi».
Grande e oneroso è il doppio compito a casa. Colma di speranza, di passione e convinzione dev’essere la fede e la fantasia della Chiesa in quello che Francesco chiama « il tempo della misericordia ». Il tempo, cioè, di poter essere «liberi e felici» come le due donne incontrate da Gesù, con cui si apre la Misericordia et misera (cf n.3). Un monito davvero deciso e che non permette più dilazioni. Specialmente per quel «resto» di umanità che ancora ci guarda dalle macerie di Aleppo.