Napoli. Evitiamo che I figli contesi dei camorristi subiscano altri traumi
Non sono scritte su un foglio di carta, ma diluite qua e là e, per questo, sovente, ignorate e disattese. Sono le regole del buon senso che da sole basterebbero a oliare gli ingranaggi di una burocrazia sovente pedante e farraginosa. Ricordo di aver letto - cito a memoria - che Enrico Fermi, riferendosi all'intelligenza straordinaria del collega Ettore Majorana, ebbe a dire: «Aveva qualcosa che manca alla maggior parte degli esseri umani, ma mancava di quella semplice cosa che hanno la maggior parte degli esseri umani: il puon senso».
Buon senso che eviterebbe di farci impelagare in tanti vicoli senza uscita. Buon senso che, prima di farci gridare per reclamare i nostri propri sacrosanti diritti, dovrebbe indurci a chiederci se quel diritto sia davvero tale o, magari, solo “presunto”. La prova del nove è semplice ed efficace. Un vero diritto arricchisce chi lo riceve senza fare male a nessuno. Ogni cosa, infatti, che pretendo in più per me, se non mi spetta, la sto rubando a qualcun altro, che magari non ha la forza per protestare e lascia fare.
Penso all’“utero in affitto”. Non credo che occorra fare ricorso ai grandi cervelli per capire che si tratta di un atto di egoismo, un vero obbrobrio ai danni dei più fragili, che sono i non ancora nati e le madri surrogate. Nei secoli passati, nemmeno la mente più astrusa e anarchicamente originale sarebbe arrivata a concepire qualcosa del genere. Giù le mani dalla vita nascente. Eppure ci tocca sentire, anche da qualcuno che passa per intellettuale, che “un figlio è un diritto che non si deve negare a nessuno”.
Deriva del pensiero falsa e pericolosissima. Un figlio non è e non sarà mai un diritto per nessuno ma solo e sempre un dono incommensurabile, davanti al quale l'intera umanità ha il dovere di togliersi il cappello. Gli adulti ben sanno quali sono i diritti del nascituro e, viceversa, quali i doveri che si sono assunti nell’averlo concepito. In questa strana atmosfera dei “diritti a oltranza”- calderone non adeguatamente studiato - i diritti dei bambini non sempre hanno la precedenza. Invece, in prima fila dobbiamo mettere loro, i piccoli.
A Napoli una bambina di soli tre anni è contesa tra la sua mamma e la famiglia de papà attualmente in carcere perché accusato di essere camorrista. Troppo poco abbiamo riflettuto sui figli dei mafiosi, sulla loro educazione, sul loro futuro. Vere vittime innocenti di cui difficilmente riusciremo a capire i drammi che sopportano, soprattutto, durante la prima infanzia. E quando saranno in grado di esternarli, quei drammi, avranno già causato danni, sovente, irreparabili.
Il papà della bambina contesa è rinchiuso in carcere, ma riesce ugualmente a comunicare con la figlia tramite videochiamate clandestine. Ora che i telefonini dalle carceri escono ed entrano con estrema facilità, lo sanno tutti. Anzi, non poche volte, si è arrivati a individuarli e a punire i responsabili, solo perché non hanno saputo resistere alla tentazione di esternare sui social le loro chiamate.
Per la legge la bambina deve passare alcune ore della settimana con i nonni paterni, il che non guasterebbe affatto se la vicinanza di costoro fosse per lei motivo di serenità e di gioia. Purtroppo, così non accade. La convivenza crea problemi. Si arriva alle minacce, alle intimidazioni, alla violenza fisica da parte dei nonni nei confronti della mamma, in presenza della minore. Nasce la domanda: chi e in che misura avrebbe dovuto vigilare che i rapporti, già tesi, tra le due famiglie, non avessero a causarle ulteriori problemi?
Prima i diritti dei bambini, poi il resto. Penso che, sovente, manca tra i vari organismi preposti alla tutela dei minori quella capacità di organizzarsi, entrare in comunione, mettersi insieme perché tutto possa essere fatto nel migliore dei modi. Occorre aprire bene gli occhi e tenere sotto controllo continuo i figli - e sono tanti - di mafiosi e camorristi. Il loro benessere psico-fisico, già tanto fragile e provato, potrebbe risentire fortemente del clima violento e prepotente che si sprigiona intorno a essi.