Opinioni

Lo spreco di cibo nelle nostre case. La dismisura e i buoni avanzi

Ferdinando Camon giovedì 23 maggio 2013
È in corso un dibattito sullo spreco di cibo nelle nostre case. Grande tema. Ma non riguarda solo le case, le tavole, i pranzi, le cene. Riguarda la nostra vita, l’educazione che abbiamo ricevuto, l’educazione che impartiamo ai nostri figli, ai nostri studenti, ai nostri lettori, a tutti. Adesso c’è la crisi, e la crisi ci obbliga a rifare i conti delle nostre spese, dobbiamo ridurre il superfluo, e molti purtroppo devono ridurre il necessario. È a loro che prima di tutto dovremmo pensare. Mi capita di citare spesso, perché mi piace molto, il modo in cui un grande sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, traduceva il detto evangelico quod superest, date pauperibus: la nostra tradizione ce lo faceva tradurre con «quel che avanza, datelo ai poveri», e cioè: «mangiate per primi, quando avrete finito, quel che resta regalatelo ai poveri». L’antico predecessore di Matteo Renzi si fermava su quel quod superest, e diceva che non significa «ciò che è in più, che avanza», ma «ciò che sta sopra», sopra la tavola: preparate da mangiare, e cedete il posto ad altri, voi mangerete per ultimi.Mangiare ci piace. Non mangiamo per stare in vita, lavorare, studiare, non mangiamo per vivere: il mangiare non è un mezzo, ma un fine. Non prendiamo medicine per stare bene, ma per stare meglio. Non viaggiamo per conoscere, ma per vedere. Non leggiamo per imparare, ma per divertirci. Non usiamo l’acqua che ci serve, ma 4-5 volte di più. Non compriamo l’auto che ci serve di più, ma quella che ci fa fare più bella figura. Il limite massimo di velocità è 130 sulle autostrade, ma produciamo auto che vanno a 250, e formano un settore che tira. Pensiamo: «I nostri figli mangiano come i figli di Elisabetta», regina d’Inghilterra, e non è vero, perché mangiano meglio. Illustri personaggi che sono stati a tavola con la regina dicono che si mangia male, i piatti vengono cotti a molta distanza, attraversano lunghi corridoi per venire nella sala da pranzo, e quando arrivano sono tiepidini o freddi. In casa nel frigo o nel freezer teniamo cibi che stan lì finché scadono, e allora ci poniamo il problema: buttarli via? Qualcuno definisce il frigo «la discarica domestica». Se apriamo l’armadietto delle medicine, vi troviamo farmaci scaduti da anni. Quando stavamo male, ne abbiamo comprato il doppio o il triplo del necessario, poi li abbiamo tenuti lì, come rimedio già pronto per un malanno che poteva tornare. Vorremmo cacciar via tutti i problemi di salute che abbiamo e quelli che ancora non abbiamo. Adesso, con la crisi, riprendiamo a notare la povertà, che per decenni non vedevamo. Notiamo le visite notturne ai cassonetti, anche dei nostri vicini. Non lo sospettavamo. Ci spaventa. Ma quando vedevamo gli indiani, in India, camminare lungo le strade con le costole sporgenti come una fisarmonica, vedevamo la bellezza, la Storia, lo Spirito, e non la miseria. Abbiamo la biblioteca piena dei libri di viaggiatori europei e italiani, che tornando dall’India scrivevano nel diario: «Ho visto gli dèi». Da qualche parte ho risposto che reagiscono come un formichiere che veda un nido di formiche: cibo per la sua golosità. Così l’India per le nostre Nikon o Canon e i nostri iPhone. Siamo ingordi. L’ingordigia è una nevrosi. L’ingordigia ingrassa. In questi mesi i grassi cercano di rimettersi in linea, perché arriva l’estate e andranno al mare. Se ingrassare è frutto di una nevrosi, come si fa a dimagrire? Guardate le persone che ci riescono: oppongono nevrosi a nevrosi, combattono la nevrosi del "mangio tutto" con la nevrosi del "non tocco cibo". Dismisura contro dismisura. Dobbiamo comprare il giusto, e il giusto è quello che consumiamo in tempo. Ma non è che un cibo scaduto da un giorno ci uccide: cento sindaci di tutta Italia si son trovati insieme l’altro ieri nella mia città, Padova, per un «banchetto degli avanzi»: han mangiato tutto, e stanno benissimo.