La morte di Indi. La disabilità non può diventare la premessa per l’abbandono
Eccoci ancora qua, dopo alcuni anni dalla vicenda del piccolo Charlie e del piccolo Alfie, con emozione profonda davanti all’epilogo della vicenda di Indi, 8 mesi, affetta da una patologia mitocondriale e per la quale i medici “curanti” ( difficile definire curante chi non cura...) e i giudici hanno deciso l’interruzione del supporto vitale. Una storia ricca di drammaticità, emozioni, dolore ma anche di speranza e dignità. Su proposta dei medici del Queen Medical Center di Nottingham, e su sentenza del giudice, è stato confermato lo stop al supporto vitale. Per i medici di Nottingham che hanno avuto in cura Indi, continuare con il sostegno alla bimba, affetta da una malattia giudicata inguaribile, era accanimento terapeutico: Indi non ne avrebbe avuto alcun beneficio, anzi, le cure palliative le avrebbero causato solo dolore (un assurdo).
Ci ritroviamo ancora di fronte a sentenze fatte di parole certe e arroganti: accanimento terapeutico, interruzione delle cure... Perché non cerchiamo di abbattere quella barriera creata dal concetto culturale nell’utilizzo del termine “inguaribile” come sinonimo di “incurabile” che determina uno sguardo diverso rispetto alla persona malata e al suo percorso di Vita? Pensiamo a tutte quelle persone che giornalmente testimoniano la quotidianità della Vita con la malattia: penso ai bimbi affetti da patologie simili a quelle della piccola Indi, senza terapie specifiche, inguaribili, secondo la dizione medica corrente, ma non incurabili e supportati dall’affetto, amore e cura dei propri familiari e medici e operatori curanti.
Queste storie sono legate da uno speciale fil rouge: la speranza. La speranza, come sentimento confortante che può condurre a una condizione migliore e che può diventare strumento di Vita quotidiana. Quella speranza che abbiamo letto negli occhi dei genitori di Indi, Claire e Dean Gregory, anche per questo così uniti alla loro piccola, pronti a sfidare ogni condanna anche di natura giuridica per salvaguardare la sua Vita. Il verdetto appreso è stato che «non ci sono speranze di migliorare la condizione della bambina e ogni ulteriore tentativo costituirebbe un inutile accanimento».
Ma di fronte alla speranza, al diritto di Vita di una bimba, al desiderio di due genitori di curare la propria figlia, potevano accettare il parere espresso dai medici e dai giudici di staccare la spina? Quante Indi nella quotidianità? Senza speranza di guarigione, di terapie specifiche... Ritengo che sia inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la Vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale e in un costo. Papa Francesco ci fa riflettere: « Difendere la Vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d’amore che Dio affida a ogni uomo».
Credo che i medici, gli operatori sanitari in generale, le istituzioni stesse, noi tutti dobbiamo difendere il desiderio di Vita di qualunque individuo. Non si possono creare le condizioni per l’abbandono di tanti malati e delle loro famiglie che condividono quotidianamente con la persona malata il peso della malattia. In nessuno deve essere alimentato un sentimento di solitudine, bisogna contrastare la corrente di pensiero che ritiene che la Vita, in determinate condizioni, si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie gravissime altamente invalidanti di continuare a guardare alla Vita come a un dono ricco di opportunità.
La Vita ci pone a volte davanti all’imprevisto. Il dolore è un dato con cui tutti noi dobbiamo fare i conti prima o poi. La sofferenza può essere propria o altrui, può essere fisica o morale, ma sempre ci interroga sul senso della Vita, strappa da noi un “perché” che va al di là delle cause che l’hanno motivata. In questi tempi si deve lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano che deve essere il punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza e si impegna affinché la malattia e/o la disabilità non siano o diventino criteri di discriminazione sociale e di emarginazione.
È qui che l’impegno della medicina e della scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone ma-late, e per cercare di migliorare la loro qualità di vita, evitando ogni forma di accanimento terapeutico. Questo è un compito prezioso che conferma il senso della professione medica, non esaurito dall’eliminazione del danno biologico. Si dovrebbe guardare alla Vita umana come Mistero non riducibile al suo livello biologico e non manipolabile da nessuno. È, e deve essere una posizione “laica”. Si deve garantire al malato e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata e adeguata forma di trattamento, cura e sostegno. Gli strumenti esistono, ma è necessario utilizzarli, fare in modo che la società ne sia a conoscenza e che la classe medica li attui nel modo più corretto possibile.
Non solo nel nostro Paese, l’indipendenza e l’autonomia del medico, che è un cittadino al servizio di altri cittadini, dovrebbe garantire che le richieste di cura e le scelte di valore dei pazienti e dei loro familiari siano accolte, nel continuo sforzo di aiutare chi soffre e ha il diritto di essere accompagnato con competenza, solidarietà e soprattutto amore durante tutte la fasi della malattia. Non può e non dovrà mai essere una questione di costi ( le scelte fallimentari del sistema sanitario inglese lo stanno testimoniando,). La persone malate, i disabili, gli anziani non devono essere viste come costi. Non vengano alimentate l’ideologia e la cultura del benpensante. Perché la Vita è una questione di sguardi e di speranza, ciò che oggi si pensa non essere possibile, domani chissà... La Vita è incredibile, e così anche la Scienza...