Istituzioni e crisi della democrazia. La cura non è presidenzialista
L’elezione diretta del Presidente della Repubblica – e la sua trasformazione in capo del governo – avvicinerebbe l’Italia a sistemi adottati da tempo nelle più consolidate democrazie, come gli Stati Uniti d’America e la Francia? Lo dicono i sostenitori del presidenzialismo e lo riconoscono anche molti che pure non lo vogliono. Qual è però oggi la situazione in democrazie consolidate presidenzialiste o semipresidenzialiste?
Proprio là dove da tempo queste forme di governo si sono affermate, Usa e Francia compresi, le democrazie non appaiono più così solide e le loro istituzioni così efficaci come in passato. Sono gli effetti di una crisi della democrazia ormai diffusa ovunque ed è perciò importante interrogarsi sul rapporto tra il presidenzialismo e tale crisi: introdurlo in Italia aiuterebbe a risolverla o al contrario la aggraverebbe?
Naturalmente, ci sono anche molte altre importanti questioni da affrontare. In Italia, il fatto che il presidenzialismo venga proposto anche da forze politiche storicamente collegate al fascismo – altra questione molto discussa, e non solo in Italia – suscita grandi preoccupazioni. Altri, inoltre, denunciano il legame tra queste stesse forze politiche e i loro alleati con democrazie autoritarie come quella di Victor Orbán in Ungheria. Insomma, è diffuso il timore per il pericolo – solidamente argomentato da molti costituzionalisti – che l’introduzione del presidenzialismo deprima il pluralismo ed esalti il potere di una minoranza. Non sarebbe certo un passo avanti sulla strada della democrazia.
Accanto a tali questioni c’è però oggi anche qualcosa di nuovo e, forse, di più urgente: è, come già detto, il rapporto tra il presidenzialismo e la crisi che minaccia tutte le democrazie. Il caso americano è emblematico: qui la figura di un presidente di parte sta diventando sempre più divisiva e contribuisce ad acuire una crescente polarizzazione.
Com'è noto, al centro della scena continua ad esserci Donald Trump – un ex presidente e, forse, di nuovo presidente nel 2024 – che è accusato in base a molteplici prove di aver addirittura tentato un colpo di Stato per impedire che diventasse presidente chi è stato eletto regolarmente dopo di lui. Su di lui pendono pure altre accuse, tra queste quelle relative al possesso illegale di documenti vitali per la sicurezza dello Stato. Da parte sua, Trump rifiuta di misurarsi con tutte queste accuse e le utilizza per chiamare il «vero popolo americano» – che pretende di rappresentare in esclusiva – a ribellarsi contro istituzioni comuni oggi governate dai democratici.
Gli Stati Uniti appaiono sempre più divisi tra lui e Joe Biden, mentre in passato tutti i presidenti – repubblicani o democratici – hanno incarnato l’unità della nazione. Nessuno, infatti, è più considerato super partes ed è normale considerare tutti di parte. Tutto ciò riflette un problema molto profondo e diffuso: la crescente polarizzazione della società americana sempre più divisa tra wasp (bianchi, anglosassoni e protestanti) e latinos (ispanofoni, spesso meticci e cattolici), tra suprematismo bianco e rivendicazione dei diritti delle minoranze, tra pro-life e attivisti della cancel culture. Se la politica americana appare drammaticamente segnata da contrapposizione sempre più aspre è perché la società americana fatica a riconoscersi in istituzioni comuni.
Non si tratta di un caso isolato, come mostrano anche le recenti elezioni in Francia che hanno premiato le posizioni più estreme dello schieramento politico. La polarizzazione è oggi un pericolo grave per qualsiasi democrazia. Provoca, infatti, lacerazioni incomponibili e alimenta un clima di contrapposizione perenne.
Dietro la crisi politico-istituzionale americana c’è lo smarrimento di un grande popolo che – a causa delle profonde trasformazioni etniche, sociali, culturali degli ultimi decenni – stenta oggi a ritrovarsi in un’unica comunità. I fenomeni del populismo e del sovranismo, tanto spesso deprecati anche in Italia, si sviluppano in società in cui le élite sono sempre più distanti dalle masse e sono alimentati da 'parti' che si presentano a nome di 'tutto il popolo'. Gli esempi potrebbero continuare.
L’attuale crisi della democrazia è anzitutto crisi di un comune senso di appartenenza: la democrazia, come affermava Aldo Moro in Assemblea costituente, suppone una casa comune. Introdurre oggi in Italia il presidenzialismo alleggerirebbe o appesantirebbero la crisi della democrazia di cui anche l’Italia sta soffrendo? Su queste pagine è già stata posta un’importante questione di metodo, denunciando la possibilità che il cambiamento istituzionale venga introdotto per imposizione di una minoranza, seppure cospicua, che la legge elettorale potrebbe trasformare in maggioranza (persino) schiacciante, senza dialogo con le opposizioni e senza verifica referendaria da parte dei cittadini. Si realizzerebbe così una divisione traumatica nel popolo italiano. Anche l’esame nel merito dei possibili effetti del presidenzialismo mostra pericoli nella stessa direzione.
L’esempio americano suggerisce che l’introduzione del presidenzialismo in Italia potrebbe acuire le divisioni proprio quando esperienze drammatiche come la pandemia e la guerra in Europa – con le loro gravi conseguenze – hanno mostrato l’importanza di una comunità coesa e di una politica unitaria. Spinge, insomma, ad apprezzare figure di garanzia – qual è attualmente il Presidente della Repubblica in Italia – in cui possono riconoscersi tutti gli italiani e la cui imparzialità aiuta a tenere unita una società sempre più sottoposte a spinte disgreganti.