Il futuro dei mari. La cura arriva dagli oceani: l'ospedale che non ti aspetti
Un ristorante sottomarino alle Maldive
Le grandi distese blu una possibilità 'sanitaria' da scoprire La comunità internazionale discuterà a breve un nuovo rapporto speciale sul clima, centrato sul legame fra gli oceani e la criosfera, la porzione gelata del pianeta. Inoltre, nel 2021, comincerà un atteso decennio dell’Onu dedicato alle scienze oceaniche. Ma a questi importanti appuntamenti, si giungerà probabilmente senza un jolly già molto utile in altri casi ai fini della sensibilizzazione: una metafora semplice e condivisa per far comprendere il ruolo degli oceani nella nostra vita quotidiana. Se la figura retorica dei 'polmoni verdi del pianeta' non garantisce da sola la preservazione delle foreste tropicali amazzoniche, africane e dell’Asia sudorientale, quanto meno ha aiutato un po’ tutti a focalizzare il problema, contribuendo al risveglio di una certa sensibilità ambientale. Per gli oceani, invece, non si è trovato finora nulla di simile e urgono dunque candidature credibili.
All’ultima conferenza 'Eurocean' accolta a Parigi (11-12 giugno), una pista interessante è emersa nella sessione dedicata al rapporto fra oceani e salute umana. Un’occasione, secondo i diversi interventi, per supporre, suggerire o mostrare che gli oceani potrebbero rappresentare pure il più grande policlinico naturale a disposizione dell’umanità. Una potenziale fonte di salute ed equilibrio per gli individui e le società, come risulta pure dallo studio internazionale 'BlueHealth project'. Finanziata dall’Unione Europea e condotta su 18mila persone fra il 2016 e il 2018, questa ricerca include pure l’Italia.
«Lavorando in 18 Paesi diversi, abbiamo ripetutamente osservato che il benessere psicologico degli individui, compresi i bambini, migliora notevolmente quando passano del tempo su un litorale marino, rispetto a dei contesti d’entroterra urbani, boscosi o di campagna», ci spiega lo psicologo britannico Mathew White, dell’Università di Exeter, fra i responsabili del progetto: «La posta in gioco è cruciale, se pensiamo che la salute mentale è la prima causa d’invalidità nel mondo occidentale, con enormi volumi di farmaci impiegati per curare ad esempio l’ansia o la depressione. Abbiamo constatato un calo dell’ansia anche in categorie molto specifiche come le persone che ricevono cure per disturbi dentali. Il prossimo passo delle nostre ricerche consisterà nel quantificare al meglio questi benefici ambientali rispetto a quelli farmacologici. In Europa, in genere, i poteri pubblici non hanno ancora sostenuto le piste terapeutiche ambientali, ma attendono dai ricercatori risposte più precise, per capire se investire più risorse, soprattutto quando i farmaci non danno effetti».
C'è di certo materia pure per tanti studi antropologici sui nessi fra l’uomo e gli orizzonti acquatici. Legami potenti che a livello empirico sperimenta da anni in ogni continente pure la biologa e militante ecologista peruviana Kerstin Forsberg, fon- datrice pluripremiata dell’Ong Planeta Océano: «Quando vivi sulla costa, l’oceano diventa davvero parte di ciò che sei, della tua storia, del tuo presente e del tuo futuro. Quando ascolti ad esempio un pescatore artigianale parlare del proprio braccio di mare, emerge ogni volta un intero mondo di storie e di sentimenti. Ma è vero anche dei bambini cresciuti sul litorale che ti parlano della loro spiaggia, come se fosse per loro una sorta di grande culla benefica. L’oceano nutre le sensibilità, mitiga tutto, è una presenza in fondo percepita come protettiva », ci racconta dopo il suo intervento all’ultimo 'Ocean Day' organizzato dalla Commissione oceanografica intergovernativa (Ioc), presso l’Unesco.
Più concretamente, gli ambienti marini sono pure uno scrigno insostituibile di risorse ampiamente impiegate a livello terapeutico. «Diversi progetti di ricerca hanno mostrato di recente che i mari e gli oceani rappresentano un vasto orizzonte di speranza per la medicina, anche preventiva », ci dice François Houllier, presidente dell’Ifremer, principale organismo di ricerca francese sulle risorse marine: «Si è scoperto ad esempio che un batterio dei grandi fondali genera un polisaccaride utilizzabile in chirurgia a livello osseo e cartilagineo, per rigenerare questi tessuti. A livello preventivo, invece, si è capito che nebulizzando certi batteri marini non patogeni su dei prodotti alimentari marini, si possono evitare le invasioni da parte di batteri patogeni. Persino certi comportamenti delle ostriche si sono rivelati utili, divenendo la base per sviluppare dei modelli sulla propagazione delle cellule cancerose nell’uomo».
Peccato che a dispetto di così tante potenzialità benefiche, mari e oceani siano vissuti e percepiti oggi non di rado pure come l’opposto: una fonte di rischi sanitari per gli individui (propagazione senza controllo di microplastiche ed inquinanti vari, tracce di metalli pesanti ed altre sostanze nocive nel pescato, proliferazioni ricorrenti di meduse urticanti lungo le coste); il teatro di spaventosi drammi migratori e umanitari, o di permanenti rischi per la sicurezza collettiva e dunque la 'buona salute' delle relazioni internazionali, come nel caso dell’ultima crisi diplomatica attorno alle rotte marittime mediorientali; l’origine di cataclismi la cui frequenza è spesso considerata nel complesso in aumento, dai cicloni agli tsunami, capaci di provocare mortalità diffusa ed epidemie.
È chiaro che possiamo rendere l’umanità più sana mantenendo sano l’oceano. Esistono da sempre tanti benefici, ma anche delle minacce vecchie e nuove legate agli oceani», ci dice il naturalista Sam Dupont, dell’Università di Göteborg, specializzato nei cambiamenti degli ecosi« stemi marini, con un’attenzione prioritaria anche alle attività umane: «La sfida è oggi sempre più la ricerca dei buoni compromessi. Ad esempio, sappiamo bene che i frutti di mare sono una buona cosa per la salute. Ma al contempo, l’inquinamento provoca talvolta concentrazioni tossiche a livelli nocivi. Dobbiamo per questo smettere di mangiare i frutti di mare? Non proprio. Occorre invece unire le conoscenze degli scienziati, l’etica degli industriali, buone decisioni politiche per ricavare il meglio evitando il peggio».
Secondo l’ultimo rapporto dell’European marine board, intitolato 'Navigating the future V', «la metadisciplina volta a comprendere i legami complessi fra la salute degli oceani e quella umana è oggi riconosciuta e accettata come un’area chiave della ricerca». Per l’organismo che riunisce molti dei più autorevoli studiosi europei di scienze marine, sembrano già lontani i tempi in cui la focalizzazione dominante su questo tema ruotava attorno alla tossicità di certe alghe. L’idea ispiratrice di fondo, ormai, è di «massimizzare i benefici e minimizzare i rischi, tanto per gli esseri umani che per l’oceano».
In effetti, con la crisi climatica e la presa di coscienza forzata del cosiddetto 'sistema- Terra', in cui gli oceani svolgono un ruolo centrale, sarà probabilmente vieppiù difficile attribuire agli oceani tutte le virtù, oppure tutti i mali, come poteva capitare nelle antiche cosmogonie. Soprattutto in campo sanitario, una sorta di 'talassofilia' di nuovo stampo tende ad affiancarsi a certi mai sopiti riflessi 'talassofobici'. Fra contraddizioni geopolitiche lancinanti e lo spettro dei mari trasformati in cimiteri di rifugiati climatici e bellici, fra banchi giganti di meduse ed altre insidie, fioriscono pure speranze sul potenziale salutare dello sconfinato 'policlinico' dipinto di blu. Ma la tanto sospirata metafora oceanica condivisa e a portata di bambino dovrà veder la luce fra i bagliori dei coralli e quelli meno romantici della plastica.