Nel ventre della Parola/2. La crisi di Giona: un “no” è solo un “sì” detto diversamente
"In queste ultime settimane si è verificato un cambiamento. Ma dove? Sono io che son cambiato? Se non sono io allora è questa camera, questa città, questa natura; bisogna scegliere. Sono io, credo, che son cambiato: è la soluzione più semplice". Jean-Paul Sartre
Non è raro che nella vita di chi ha ricevuto una vocazione autentica un giorno irrompa una parola diversa della stessa voce amica, che dice cose nuove e troppo lontane dalle parole buone conosciute fino a ieri. Alcuni continuano a svolgere la stessa vita di prima. Altri invece in quel giorno si bloccano, non capiscono perché non possono capire, sentono che sta per morire la parte più vera e bella della vita. E dicono ‘no’, disobbediscono alla voce vera per una strana fedeltà ad un’altra voce, altrettanto vera e profonda. Questa è stata, forse, la crisi di Giona.
«Giona scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis» (1,3). Giona non obbedisce al comando del Signore di recarsi a Ninive per profetizzare a quella grande città. Invece di salire a Ninive, la grande città assira, scende nel porto di Giaffa - oggi vicino a Tel Aviv. Il verbo “scendere” (yrd) qui contiene anche una sfumatura morale: Giona non sale verso Ninive per svolgere il suo mandato profetico, e scende verso il mare ad Ovest. Scende geograficamente e spiritualmente. Tarsis nella Bibbia è quasi sempre associata alle navi - le famose navi di Tarsis, che troviamo nella storia di Salomone, nei Salmi, in Ezechiele, molte volte in Isaia. “Navi di Tarsis” era diventata persino una espressione idiomatica, simile a Faience (Faenza in francese) per dire maiolica, o alle veneziane e alle persiane nelle case.
Non è comunque nella geografia dove si nasconde il senso di questa fuga di Giona. Si imbarca come fa chi vuole fuggire da una famiglia, da una casa, da un destino; arriva nella prima stazione, dice al ferroviere: ‘Un biglietto per la destinazione più lontana’, sperando che l’allontanamento fisico diventi anche allontanamento del cuore.
Giona non parte: Giona fugge, scappa. Non sappiamo perché lo faccia, il testo non ce lo dice. A quell’antico autore anonimo non interessava quel perché - ma a noi sì, a noi interessa molto. Il senso della sua disubbidienza lo dobbiamo cercare fuori dal suo Libro, in qualche antico commento o dobbiamo provare a crearlo noi - commentare un testo antico, commentato già mille volte, può non essere del tutto inutile se osiamo simili esperimenti arditi, guidati dall’intera Bibbia e dalla sua logica. Proviamo allora a scavare dentro questa fuga di Giona. Forse potremmo trovarvi qualche indizio per provare a capire di più i profeti e le vocazioni (in ogni vocazione, religiosa o civile, c’è un’eco dei profeti).
Innanzitutto, possiamo verosimilmente immaginare che nel comando che Giona riceve da Dio (recarsi a Ninive) ci deve essere qualcosa che quel profeta non ama o non capisce e che comunque non vuol fare. Non ci dimentichiamo che la Bibbia ci fa capire che Giona non è un falso profeta: lo tratta da profeta vero, magari bizzarro, ma non falso. Quindi in quel suo “no” ci può essere qualcosa di serio, che potrebbe riguardare direttamente la sua vocazione. Prima di continuare il nostro esercizio, dobbiamo ricordare che cosa è la Voce di Dio nella profezia biblica. Il profeta è il “virgolettato di Dio”. Può avere molti dubbi su molte cose, e in genere li ha (come noi), ma non può avere dubbi nel riconoscere la voce di Dio perché in questo speciale discernimento delle voci sta l’essenza della sua vocazione. Un profeta non può dubitare da dove proviene la voce che gli parla: magari non gli piace, ci litiga, si lamenta, ma la riconosce.
Quando allora il testo ci dice che «fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore» (Giona 1,1), noi non siamo legittimati a pensare che Giona dubitasse che la “parola” fosse veramente parola di YHWH. Questo dubbio non è tra le risorse narrative a nostra disposizione. Giona sa che il comando è autentico, e noi dobbiamo saperlo con lui; eppure Giona, profeta, decide di non ubbidire. La ragione della disubbidienza di Giona deve pertanto trovarsi su un altro piano. Quale? Nei millenni gli interpreti ne hanno immaginati molti, tra questi la sua sensazione di inadeguatezza (come Mosè), paura, fragilità, ed altri ancora.
La Bibbia ci può suggerire anche qualcosa di diverso. Se guardiamo con attenzione alla letteratura profetica e sapienziale, in particolare alcune pagine di Giobbe, dei Salmi, di Osea o di Geremia, potremmo ipotizzare che Giona abbia vissuto una speciale crisi vocazionale - la Bibbia è anche una grammatica delle vocazioni e delle loro crisi. Proviamo allora a delineare i tratti di questo tipo di crisi, della crisi di Giona
Il testo non ci dice se Giona fosse giovane, adulto o vecchio. Un indizio, labile ma suggestivo, lo troviamo però nel commento a Giona fatto da San Gerolamo, il traduttore della Bibbia in latino (la vulgata), un punto di riferimento fondamentale negli studi biblici. Così scrive riguardo la persona di Giona: «Gli ebrei riferiscono che Giona fosse il figlio della vedova di Serepta fatto risuscitare dal profeta Elia» (Commento al libro di Giona, p. 36). Gerolamo fa dunque riferimento ad episodio che si trova all’inizio della vocazione di Elia, quando, per una siccità, YHWH gli ordinò di andare a «Sarepta di Sidone; io là ho dato ordine a una vedova di sostenerti’. Elia si alzò e andò a Sarepta» (1 Re 17,8-10). Quella vedova libanese, pagana, nutrì il profeta, sebbene alla richiesta di Elia avesse risposto: «Ho solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ...andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo» (17,10-12). La madre donò quindi al profeta il proprio necessario, ma invece di morire «la farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì» (17,16).
Un racconto stupendo, tra i più belli della Bibbia, che ci dice anche chi sono quei poveri che Gesù chiamerà “beati”: solo coloro che nutrono i profeti con il loro necessario. Giona quindi, per alcuni rabbini della fine del IV secolo, era quel figlio, un figlio “risorto”. Noi sappiamo che quando qualcuno fa ingresso nella Bibbia come “figlio”, come ragazzo, quella prima identità fanciulla gli resta per tutta la vita, diventa parte della sua personalità vocazionale (Davide resterà sempre il giovane pastore). Siamo allora in buona compagnia se anche noi, in questo esercizio narrativo, immaginiamo Giona ancora giovane al momento della sua fuga. Che Giona fosse già un profeta ma un profeta giovane-adulto che vive la sua prima vera crisi vocazionale.
La fuga di Giona può arrivare a qualsiasi età, ma è più facile che arrivi quando una persona, che è ancora giovane ma ha raggiunto una prima maturità, ha già appreso il “mestiere” del profeta. È qualcuno/a che ha già sviluppato una familiarità con la voce che gli parla, che ha già fatto le prime esperienze carismatiche, ha già visto i primi frutti saporiti. Ha trovato un suo equilibrio spirituale e antropologico, e ha capito quale è il suo posto al mondo. Qualcuno che si trova in quella fase della vita quando non distingue più l’uomo, la donna dal profeta: ormai sono la stessa cosa, le due dimensioni vivono in mutua inabitazione, due nature che nella singola persona diventano una sola.
È a questo punto che “la crisi di Giona“ può arrivare a spezzare quell’equilibrio. Avevamo speso, ad esempio, la prima parte della vita in una comunità spirituale, era la nostra casa, interna ed esterna. La terra promessa, il sogno dei sogni. Passano i primi anni, la comunità diventa anche la nostra anima individuale; il carisma comunitario è ormai il nostro proprio carisma, non vogliamo altro. E invece in un altro giorno la voce che avevamo seguito e ci aveva portato lì, ci dice improvvisamente: “vattene”. Noi intuiamo che non si tratta del ‘vattene’ buono di Abramo né di quello di Elia: è il tremendo vattene di Giona.
Ci sembra impossibile che la voce ci chieda oggi di lasciare il dono più grande che ci aveva fatto ieri, di uscire per un viaggio verso una terra sconosciuta, una “Ninive” che non ci piace e che ci appare come la negazione della prima bellissima terra. All’inizio non ci crediamo, pensiamo sia semplicemente una tentazione, che a parlarci sia Satana travestito da Elohim e gli gridiamo: “vattene via tu, non puoi essere il mio Dio”; ma in un altro giorno ci diventa chiaro che a parlarci è proprio la voce buona di sempre ma che ci chiede qualcosa che ci appare impossibile, la fine di tutto. È l’inizio della crisi di Giona.
In genere, questa crisi si esprime nella fuga: si parte nella direzione opposta a quella indicata dalla voce, ci si imbarca sulla prima nave, perché l’importante è partire non importa verso dove purché il luogo non sia la destinazione-destino indicata. Sappiamo di andare “lontano dal Signore”, eppure diciamo di no, scappiamo, perché ci sembra che rispondere di sì significhi semplicemente negare l’origine e il principio della nostra vita, iniziare la fine del capolavoro che avevamo fin lì realizzato. Si fugge perché non si riesce, per vocazione, ad obbedire: i profeti veri disubbidiscono solo per obbedire ad una voce più profonda e vera di quella vera che parla loro, e quasi mai si sbagliano, se sono profeti autentici.
La crisi di Giona può durare anche molti anni, decenni. Ho conosciuto alcuni Giona, persone con vere vocazioni che un giorno non obbediscono ad una richiesta della voce perché non possono obbedire. Ma ho conosciuto soprattutto alcune Giona, donne che davanti alla richiesta di Dio di offrire il figlio in sacrificio sul Monte Moria, hanno risposto: “Non ti obbedisco, e lo faccio in nome di quella vita che tu stesso mi hai insegnato, perché sei il Dio della vita che ami i bambini: col mio ‘no’ ti restituisco quel tuo volto diverso che tu mi hai svelato un giorno; disubbidendo ti ricordo chi sono io, chi è mio figlio, chi sei tu”. Sono versioni speciali del Deus-contra-Deum, tanto comune nella Bibbia e ancor più nella vita. Qualche volta si parte fisicamente, come Giona; altre volte si parte restando nella stessa stanza di sempre.
Non tutte le vocazioni attraversano la prova di Giona: alcune sì, spesso quelle più belle. Giona scese nel porto e si imbarcò sulla nave. Su quella nave farà una esperienza spirituale straordinaria, ma non poteva saperlo mentre fuggiva. E non l’avrebbe mai fatta se quel giorno non fosse scappato verso quella che a tutti sembrava essere la direzione sbagliata.
l.bruni@lumsa.it