Opinioni

Il Papa e il volto di Cristo, il leone, che ci «doma». La contemplazione che accende l'azione

Marina Corradi giovedì 12 novembre 2015
Non dobbiamo «addomesticare la potenza del volto di Cristo». La parola rivolta da Francesco alla Chiesa italiana a Firenze ha una drammaticità di natura contemplativa. Guardare quel volto, e lasciarsene guardare. Senza “addomesticarlo”. Un verbo che si usa quando si parla di fiere, di creature selvatiche, ma che si riallaccia alla tradizione della iconografia cristiana del leone, simbolo di Cristo. Non tentare di addomesticare la potenza di quel volto, di quel leone, di tanto e immensamente più grande di ciò che noi possiamo immaginare, ci dice il Papa; non credere di indirizzarlo o governarlo secondo i nostri poveri progetti.E allora, davanti a quel volto, che fare? Contemplarlo, lasciandosene guardare, e quasi sommergere. La parola splendida e forte rivolta martedì da Francesco alla Chiesa riunita nel Duomo di Firenze ci ha fatto venire alla mente il silenzio assorto con cui il 2 maggio 2010 Benedetto XVI a Torino si inginocchiò davanti alla Sindone; e in quel debordante silenzio rimase lunghi minuti. Si respirava, dentro quell’altro Duomo, l’intensità che colma l’atmosfera di uno straordinario incontro. Disse, Benedetto XVI, quel giorno, davanti al volto del Sabato santo, all’icona dell’ora del “nascondimento di Dio”: «ll mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo».E Francesco ieri ha detto alla Chiesa italiana: «Non vedremo nulla della sua pienezza, se non accettiamo che Dio si è svuotato». Il buio, la morte attraverso i quali Cristo è passato, il vuoto spaventevole della notte del Sabato («Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme… Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi», queste le parole di un’antica omelia ricordate a Torino da Benedetto). Come il silenzio ansioso e attonito di un Creato sospeso sull’abisso, ad attendere che quel vuoto, quel buio fossero vinti.Quel buio, quel vuoto che, anche solamente intravisti nella malattia mortale di un amico, nella desolazione atterrita della faccia di un profugo, a noi inducono sgomento, e voglia di non vedere. Ma: «Non vedremo nulla della sua pienezza, se non accettiamo che Dio si è svuotato», ci ha detto Francesco. E se non accettiamo questo, ha aggiunto, le nostre parole saranno magari colte, belle, raffinate ma non saranno parole di fede. Inutili, come il cembalo tintinnante di Paolo.Stare davanti a quel volto senza addomesticarlo, senza pretendere di confinarlo nelle nostre strette umane misure. Lasciarsene, invece, guardare. E ricordare come Cristo si è svuotato, e in questo vuoto è passata la sua pienezza, il suo essere «tutto in tutti». È un amore prima di tutto contemplativo quello indicato dal Papa; e operativo poi, e molto, ma come conseguenza di quel guardare e lasciarsi guardare. Compito alto, a cui si richiama un figlio caro e in cui si ha fiducia. E ritorno alla fonte, all’inesauribile motore che da duemila anni alimenta questa Chiesa di uomini peccatori. Segreto luminoso che supera e ricostruisce, nonostante tutti gli errori: trasparente acqua del pozzo della Samaritana, che disseta per sempre, anzi si fa sorgente.Basterebbero queste due sole parole del Papa a indicare, sotto alle strutture a alle incrostazioni e alle smemoratezze, che cosa è veramente la Chiesa, la sua trama profonda, e come mai, misteriosamente, ogni idea e passione nella storia finisce, mentre la fede continua, nei figli degli uomini.Unica condizione, crederci. Ci crediamo noi, a quel volto di cui la Sindone è immagine, ci stiamo davanti, muti e affascinati come al cospetto di un fiero leone? Le storie di alcuni uomini talvolta raccontano cosa accade, a chi regge fino in fondo quello sguardo. Sono storie di santi, magari assolutamente ignoti, di amici che se ne vanno lasciandosi dietro una strana letizia. Gente che ha fatto sul serio. Che si è lasciata, docile, domare dalla potenza splendente del volto di Cristo, il leone.