Il direttore risponde. La consapevolezza cambia il mondo
Caro direttore,
le scrivo per ringraziarla della pubblicazione della mia lettera del 13 luglio scorso, e della sua bella risposta. A proposito della quale, vorrei fare delle puntualizzazioni, dovute a sue calzanti osservazioni e argomenti. 1) Nella mia lettera non avevo scritto che «gli italiani “non amano fare la guerra”», ma che «non sanno farla»: che per me è (comunque, fattualmente) un merito, sia pure involontario. 2) Lei ha evidenziato una mia “omissione” – coperta da un “ecc.” – sulle forze armate e di sicurezza interne. In effetti, ho pensato anzitutto a corpi dedicati alla difesa dell’ambiente e di persone (ma anche degli animali), come appunto quello Forestale o dei Vigili del fuoco; ma con questo non voglio trascurare necessariamente Carabinieri e Polizia. Che andrebbero magari controllati più “razionalmente” (ma da chi?) per impedire, con un eufemismo, almeno eccessi tipo “Diaz”. Inoltre, di corpi armati interni ne basterebbero meno, anche per un’ormai storica questione di coesistenza di forze concorrenti. E bisognerebbe riflettere sulla costituzionalità del loro impiego, assieme all’esercito, come forze di occupazione di altri Paesi (di qualunque tipo sia la qualificazione conferita a questo impiego: per fini umanitari, di ricostruzione, addirittura per assicurare la pace…, ma in realtà per motivi utilitaristici, di sfruttamento di risorse o di mantenimento di posizioni strategiche). 3) Quanto agli F35, lei li considera «costosissimi», ma non «inutili»: che, immediatamente, mi appare in parte contraddittorio. Ma conclude – ed è questo che conta – augurandosi sostanzialmente la «costruzione di una condizione stabile di sicurezza e, infine, del progressivo radicamento di una coinvolgente cultura di non–violenza e di pace»: e in questo si dimostra vicino ai più grandi pacifisti che conosciamo, dal Kant della concezione della pace perpetua, a Einstein, Russell, Gandhi, fino a Carlo Cassola (della cui Lega per il disarmo unilaterale ho fatto parte). 4) Infine – come lei ha notato, con insolita sensibilità e vera professionalità (di cui, ugualmente, nel mio piccolo la ringrazio) – mi sto dedicando, per quanto possibile, ad applicare alla crisi economica la teoria del disarmo unilaterale del grande scrittore Carlo Cassola. Per questo vorrei che si approfondisse – magari anche a livello parlamentare – il dibattito su un tema, quello dell’abolizione dell’esercito italiano, che sarebbe realisticamente attuabile. Si tratta di un radicale cambiamento culturale: certo difficile, ma non impossibile da progettare. La saluto molto cordialmente.
Gianni Bernardini, Università di Siena