Carità. La colletta italiana per la Terra Santa, gesto di fraternità che annuncia pace
Francesco Ognibene
Vicinanza, affetto, solidarietà. E poi, consolazione, carità, riconciliazione. C’è un dizionario della pace che dovremmo tenerci caro per bonificare un terreno interiore e sociale inquinato da troppa retorica bellicista, assorbita anche inconsapevolmente come fosse il solo modo per parlare delle crisi globali. A quei sostantivi di pace che ci suonano familiari – certo più di quelli che raccontano di guerra e violenza – ha fatto ricorso il segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Baturi per spiegare il senso di un gesto che oggi la Chiesa italiana vivrà nelle parrocchie che avranno voluto farlo proprio, avendone capito la portata non solo pratica ma anche simbolica ed educativa.
La colletta straordinaria – «da tenersi in tutte le chiese» – che la Presidenza della Cei propone per questa prima domenica di Quaresima vuole essere «un segno concreto di solidarietà e partecipazione di tutti i credenti ai bisogni, materiali e spirituali, delle popolazioni colpite dal conflitto in Terra Santa», come spiegava qualche giorno fa una nota della Conferenza episcopale italiana. Farsi accanto a chi soffre è lo stile delle nostre comunità cristiane, e il segno che sempre distingue il modo di porsi della Chiesa in un mondo nel quale le lacerazioni si stanno sommando le une alle altre. A questo atteggiamento solidale ancora spontaneo si aggiunge il richiamo del luogo dove vediamo consumarsi dal 7 ottobre una tragedia senza fine, e ancora senza sbocchi: quella terra insanguinata e benedetta, sacra e profanata che ci appartiene più di ogni altra, una patria dell’anima dalla quale sentiamo di essere chiamati per condividerne le sofferenze indicibili.
Avvertiamo questo dolore indicibile scorrendo i bollettini quotidiani di una guerra che ha sparso sin dal primo momento un fiume di sangue innocente? Oppure il frastuono delle armi – la carneficina ucraina sta per compiere due anni, e sembra neppure di ricordare più com’era “prima” – ci sta assordando al punto da non poter più udire il gemito delle madri e dei bambini, dei vecchi e dei malati? Sono testimoni dell’innocente sacrificato alle logiche del potere le pietre millenarie della Terra del Signore, quasi fosse un suo destino. Potranno mai vivere in pace i popoli che la abitano? Sapranno mai ritrovare la strada della convivenza e del rispetto dopo il deflagrare di tanto rancore?
Oggi portiamo con noi nelle Messe che ci introducono al percorso quaresimale un fardello di fraternità sofferta, sentendo nostro il dolore di chi patisce le conseguenze del conflitto, e davvero non importa la sua origine, lingua, religione: conta aprire occhi e orecchie, braccia e cuore per farsi accanto a loro, colmando la distanza che possiamo aver lasciato allargare in questi mesi di guerra verso uno scenario per tanti solo “politico” ma per noi anzitutto umano e spirituale. Il desiderio di pace per la terra cantata dai salmi, restituita dalla Scrittura come scenario della storia sacra, e che i Vangeli ci presentano come casa della nostra fede, in questa giornata di convocazione ecclesiale possiamo avvertirlo come una fitta di dolore, una nostalgia, una necessità urgente. Siamo attesi tra le macerie e la polvere per guardare, ascoltare, piangere, consolare. Farci prossimi a tutti, senza pesare torti e ragioni, perché il dolore non fa distinzioni. Possiamo essere per molti la speranza che si schiude dopo mesi di terrore, se crediamo nella catena della solidarietà assicurata dalla Caritas, garante della destinazione di ogni centesimo che sapremo donare oggi e in ogni occasione e percorso legati a questa colletta.
Tocca a noi. E può sembrare strano, dopo aver assistito a quattro mesi e mezzo di crisi mediorientale, che qualcuno ci chiami in causa su una vicenda tanto complessa, nelle mani dei “potenti” e dei loro molteplici troni. Lo fa oggi la Chiesa italiana, richiamandoci a essere testimoni della pace che invochiamo per la “nostra” Terra Santa e per ogni luogo del mondo che attende un’alba di pace.