Morte e umanità. La civiltà contadina salva dal nulla delle fosse comuni
Tornano le fosse comuni. Si vedono sempre più spesso sui giornali. Mentre scrivo questo articolo, ne sto guardando una, in una città dell’Ucraina, che era occupata ed è stata liberata. I liberatori vedono la terra smossa di recente e scavano: ed ecco apparire i morti. A volte son coperti da un telo, più spesso sono a contatto con la terra. Buttare i morti in una fossa comune significa sbarazzarsene, è il modo più spiccio per toglierli dalla vista, non è un modo per onorarli, ma per impedire che vengano onorati. Chi ha gettato quei morti in una fossa comune li odiava.
Chi scava e li tira fuori e li separa uno dall’altro per riconoscerli li ama. Chi li ha buttati nella fossa comune ha chiuso i conti con loro per sempre. Chi vuol tirarli fuori e seppellirli individualmente e nominativamente avrà conti aperti con loro per sempre. La vita continua all’infinito, e con la vita l’amore. Potrei anche dirlo all’inverso: l’amore continua all’infinito, e con l’amore la vita. Ho appena visto la foto del bambino che ha portato un succo di frutta sulla tomba della madre. Il succo si vede, è nel lungo bicchiere di plastica posato al centro della tomba. Il bambino è voltato verso di noi e ci guarda sorridendo, si vede che è contento. Lui e sua madre, con tanti altri, erano chiusi nel sotterraneo di un palazzo assediato, gli assedianti gl’impedivano di uscire, dovevano restare lì anche se lì morivano di fame e di sete. Sua madre è morta di sete. Adesso lui le porta da bere una raffinatezza: non banale acqua, ma un succo di frutta. È fiero di questo. E pensa che la madre sia fiera di lui.
È la morte come dialogo, tu e tua madre parlavate in vita e continuate a parlarvi dopo la morte. Perché questo sia possibile occorre che siate in due, tu e lei. La tomba permette questo dualismo. La fossa comune lo distrugge. Chi usa le fosse comuni vuole impedire i dialoghi dopo la morte. Ma sono quelli i veri dialoghi dell’uomo, i dialoghi in cui l’uomo dice la verità. In un certo senso, chi butta i morti in una fossa comune ci butta la loro verità. Ci sono fosse comuni tonde, come pozzi, e altre lunghe, come trincee. Questa che sto guardando è una trincea. Mentre vedo racchiuso in una foto questo sprezzo della civiltà, questo odio verso i nemici anche dopo che sono morti, vedo anche un’altra foto che mi commuove e mi riempie di orgoglio.
Vedo cioè dieci prigionieri russi in fila, inginocchiati, con le mani dietro la nuca. Li controllano dei soldati ucraini, col mitra in mano. Sono i vincitori. Uno dei vinti è appena morto, e i vincitori gli han fatto il funerale e l’han sepolto. Questi vinti, allineati e inginocchiati, ricevono controlli sanitari, cibo e acqua. Farebbero lo stesso loro, se fossero i vincitori? Spero di sì. Ma i vincitori di adesso sono contadini, e dicono di provare per i prigionieri un sentimento proibito in guerra: compassione. Ci voleva la civiltà contadina per riportare un po’ di umanità. Sono figlio di contadini, e non me ne vergogno.