Campane che rincuorano. La Chiesa non fugge (come don Camillo)
Nella indimenticabile saga del “Mondo Piccolo” di Giovanni Guareschi, alcuni capitoli raccontano, tra cronaca e invenzione romanzesca, l’alluvione che nel 1951 devastò il Polesine. Un’alluvione che da quelle parti ancora ricordano, e che nella prosa di Guareschi aveva sommerso anche il paesino di Peppone e don Camillo. Tutti erano scappati tranne quel prete «alto come una montagna e dalle mani larghe come badili», rimasto al suo posto a celebrare la Messa da solo e a preparare tutto «per quando il grande fiume si ritirerà», suonando regolarmente le campane a scandire, ora dopo ora, i ritmi eterni anche di quei giorni desolati. La gente del paese, Peppone in testa, udendo da lontano, dall’argine su cui si erano rifugiati, quei rintocchi, sapeva che il luogo della loro vita non era morto, e che sarebbero tornati, un giorno, alle loro case, per ricominciare daccapo.
Quelle pagine mi sono tornate in mente un paio di giorni fa, osservando come in una Roma ridotta quasi a una città fantasma, senza la colonna sonora del traffico caotico, lo strombazzare dei clacson, le sirene, le urla per strada, l’unico rumore puntuale che fa da sfondo alla irrealtà dei giorni in cui siamo costretti a casa è proprio il suono delle mille campane della città.
La Messa sui tetti a Santa Giulia Billiart a Roma - Siciliani
Abito in una zona abbastanza centrale, e dalle finestre sentiamo i rintocchi di quelle di San Pietro e di un’altra decina di chiese, tra basiliche e parrocchie. Che raccontano di Messe celebrate da preti solitari, ora che non si possono fare riti pubblici, e che sono lì per dirci che la Chiesa è sempre al suo posto, non è fuggita, sta lì, come don Camillo. E non solo. Quelle campane ci raccontano dei tanti preti e volontari che continuano imperterriti ad aiutare a “restare a casa” chi è solo, chi una casa non l’ha più, o non l’ha mai avuta, a riscaldare chi ha freddo, a preparare pasti per chi altrimenti non mangerebbe. Sono un piccolo grande esercito, silenziosamente al servizio degli ultimi: quasi nessuno li ricorda in questi giorni convulsi e qualcuno, ben piazzato su sicuri tronetti digitali o di carta arriva a insultarli e persino a diffamarli. Anche loro a raccontare di una Chiesa che continua a esserci, per non lasciare indietro nessuno e, intanto, preparare il “dopo”. Che arriverà quando arriverà, adesso nessuno lo può dire. Ma arriverà. E assieme alle persone in prima linea, dovremo ricordarci – ciascuno di noi – di ringraziare anche tutti quelli che le campane, coi loro rintocchi, ci ricordano in questi giorni.