Opinioni

Lettera e risposta. «La Chiesa che dialoga rafforza la viltà» Credo che sia vero l’esatto contrario

Marco Tarquinio martedì 30 giugno 2015
Caro direttore,
la parte centrale della sua risposta ai parlamentari del Pd Garofani e Giacomelli è chiara, ma non mi piace, glielo dico sinceramente, l’incipit laddove ella esprime apprezzamento per il loro modo di argomentare, per la loro alta idea della politica, per lo spazio aperto al dialogo e per la loro “volontà decidente”. A costoro che si dichiarano cattolici “laici” – che confliggono spudoratamente, sotto il velame dell’alibi dell’alta politica, il comandamento di Pietro (Atti, 5,29) – non c’è il minimo obbligo di esternare deferenza e comprensione. Vanno stroncati in toto e inchiodati alla loro immane responsabilità di manomettere la legge di Dio che vieta la pratica omosessuale. Come ben vedo, è sempre il dialogo, questo strumento che deprime il coraggio e rafforza la viltà, che da 50 anni a oggi ha declassato la Chiesa – o, meglio, la Gerarchia – a un’associazione parapolitica a dimensione orizzontale.
Luciano Pranzetti
Apprezzo la sua schiettezza, gentile professor Pranzetti. So che abbiamo la stessa fede e molti valori comuni, ma continuo a verificare che nutriamo anche visioni differenti. Soprattutto, a quanto scrive, un giudizio praticamente opposto sul significato e sulla forza del cammino della croce – verticale e orizzontale, dunque – che con «gioia e speranza» il Concilio Vaticano II ha riaperto nella Chiesa cattolica. Io penso che la chiarezza dei riferimenti ideali e dottrinari e delle posizioni espresse da ognuno di noi nel pubblico dibattito come nel confronto privato su qualunque tema e problema non escluda mai il rispetto e l’ascolto di ogni interlocutore altrettanto rispettoso (tanto più se fratello anche nella fede) e delle ragioni che porta. Per questo le rispondo volentieri ancora una volta. Scegliere la via del dialogo significa, innanzitutto, proporsi di ascoltare gli altri e di misurarsi con la realtà, argomentando a propria volta, senza timori, e cercando – ove possibile e necessario – sintesi sagge e convergenze utili. Lei arriva a dire che questa sarebbe una scelta “di viltà”. Beh, io credo che sia vero l’esatto contrario di ciò che lei crede. Credo cioè che ci voglia più coraggio e più consapevolezza per dialogare, per uscire e stare in campo aperto, per andare lungo le vie del mondo, che per chiudersi idealmente in una città murata, alzare il ponte levatoio e predisporre frecce, pietre e olio bollente da gettare dalle mura. Anche perché le città murate sono ormai un’illusione. E le guerre distruttive dell’umanità e dei valori fondanti di ogni civile convivenza e della fraternità tra gli esseri umani sono, invece, una minaccia concreta. Esse divampano proprio dove manca il dialogo e dove le parole vengono usate per disprezzare e mortificare gli “altri” (soprattutto i diversi per fede o per etnia, cultura, scelte e condizioni personali) e per affilare le armi dello scontro. Questa, per quanto ci riguarda da credenti e portatori della “gioia del Vangelo”, è una realtà da cambiare. Ridurla al terreno di una qualche triste elucubrazione “parapolitica” mi sembra davvero difficile.