Europa da riformare. La chiarezza che serve e il precipizio in cui non cadere
Nella vita dobbiamo sempre trasformare vincoli e problemi in nuovi punti di partenza e in opportunità. Senza passare giorni a ragionare su cosa sarebbe potuto essere. È soprattutto importante adesso avviare una contesa elettorale a carte scoperte sul tema principale, quello del nostro rapporto con l’Unione Europea. Lo stop di Mattarella è arrivato di fronte a una coalizione (che si è formata dopo le elezioni e non prima) che ha presentato un 'contratto' di governo con uscite tra i 110 e i 170 miliardi di euro ed entrate pressoché nulle.
Conoscendo l’ispirazione economica sottostante il progetto sembrava combaciare perfettamente con un progetto ben noto, ma non esplicitato: fare esplodere la 'contraddizione' dell’Unione Europea fino a rendere l’uscita dell’Italia dall’euro (anche se dolorosissima) inevitabile. Uscita unilaterale dell’Italia che significherebbe di fatto fallimento del debito pubblico e rischio di fallimenti a catena di imprese e famiglie, perdita di valore di risparmi e di potere d’acquisto con costi elevatissimi pagati soprattutto dai più deboli. Per usare due metafore, a mio avviso calzanti, è come pensare di ristrutturare una casa un po’ vecchiotta abbattendo la trave portante. Oppure gettarsi dal quarto piano per evitare un pericolo.
Ci si può salvare per miracolo, ma il più delle volte non accade. I sospetti di Mattarella e dei mercati su questo punto (e l’ostinazione delle due forze politiche a non sostituire l’economista Paolo Savona con un ministro meno legato a queste idee) hanno bloccato questo progetto. Non sapremo mai veramente come sarebbe andata a finire, ma adesso credo sia utile che tutte le forze politiche chiariscano in modo aperto e trasparente la loro posizione in materia di rapporti con l’Europa. Sgombrando il campo da un alibi. Il problema dell’Italia non è l’euro. Siamo uno dei maggiori esportatori mondiali e abbiamo 4-5 Regioni del nord che viaggiano a ritmi tedeschi e sono vicine alla piena occupazione (con – o, se si vuole, nonostante – l’euro). Il problema sono i ritardi di vario tipo del sistema Paese.
Ne è possibile immaginare come in certe fantasie sovraniste che tutti i problemi si risolvono con la sovranità monetaria. Dimenticando che la storia economica recente è piena di episodi di fallimenti, iperinflazioni e crisi economiche di Paesi che battono autonomamente moneta. E che i salari non salgono non a causa dell’euro, ma perché nella globalizzazione la concorrenza del lavoro a basso costo è fortissima e non c’è sovranità monetaria o valutaria che tenga. Altrimenti negli Stati Uniti (Paese supersovrano) quei lavoratori se la passerebbero molto meglio che da noi.
Tutto questo non vuol dire che l’Unione Europea non abbia fatto moltissimi errori (non è stata il Roosevelt che avremmo voluto dopo la crisi finanziaria globale, non ripartisce in modo equo gli oneri dell’accoglienza dei flussi migratori e molto altro ancora). I partiti che si presenteranno alle prossime elezioni devono pertanto chiarire, sapere e far sapere per cosa intendono battersi adottando strategie ragionevoli e non suicide. Bisogna evitare una competizione fiscale serrata tra i Paesi membri che riduce progressivamente le entrate fiscali di tutti. È necessario adottare regole sugli appalti e sull’imposta sui consumi che premino la qualità e dignità del lavoro, la sostenibilità ambientale e la responsabilità fiscale. Bisogna lavorare per forme di cartolarizzazione dei titoli di stato dei Paesi membri come nel progetto recentemente avanzato dalla Commissione che può funzionare anche senza la mutualizzazione dei rischi. Da tempo in economia conosciamo il valore di dono, fiducia e cooperazione come fattore generativo di superadditività economica.
Purtroppo gli Stati membri della Ue (sempre preoccupati delle reazioni nazionaliste dei loro elettorati) non sono mai riusciti a mettere in pratica appieno questa lezione. Questa nuova fase politica delicata che si apre nel Paese è anche una chiamata alla responsabilità sociale di esperti ed addetti ai lavori. Nessuno vorrebbe che a decidere sulla propria salute e su quale farmaco assumere sia il voto popolare e non il medico, ma in economia e finanza purtroppo è così. Se poi si aggiunge a questo il sospetto verso gli esperti e i loro presunti secondi fini alimentato dal loro isolamento e la loro superbia, il rifiuto di riconoscere un valore alla competenza (uno dei tratti distintivi del populismo) è ancora maggiore.
Tra esperti, di idee ed opinioni contrapposte, è tempo di abbandonare la logica delle rivincite aiutando i cittadini a capire la posta in gioco. E spiegando loro senza ambiguità che, come ha detto ieri Mattarella, dobbiamo batterci per un’Europa all’altezza del proprio potenziale senza agitare illusioni pericolose che ci portano verso il precipizio.