Dopo Wall Street, la Casa Bianca. A poche settimane da una visita tutto sommato di successo presso la comunità degli affari americana per convincerla a investire in Italia, il presidente del Consiglio Enrico Letta è tornato negli Stati Uniti, questa volta per incontrare il presidente Barack Obama. I due si sono rivisti dopo che ognuno ha sorpassato un delicato tornante sulla strada della propria leadership politica. Se Enrico Letta ha superato l’insidia della tentazione berlusconiana di provocarne la caduta, Barack Obama è riuscito a scongiurare in extremis la bancarotta del governo federale. Per entrambi si tratta di vittorie importanti e però non decisive: le sorti dell’esecutivo di grande coalizione italiano restano comunque piuttosto incerte, tra minacce di sciopero, agguati parlamentari alla legge finanziaria e mal di pancia interni a Pd, Pdl e Scelta Civica; il default del Tesoro americano è ancora un’eventualità per nulla remota, se entro la fine di gennaio non si sarà raggiunto un faticoso compromesso con gli estremisti del "Tea party movement", che sembra sempre più in procinto di fagocitare il Partito repubblicano. Nella terra che ha ispirato il concetto di
bipartisanism, sembra proprio che la stagione del compromesso istituzionalizzato stia tramontando. Per contro, in questa nostra Repubblica, sempre più livorosa, verso i vivi e verso i morti (in senso politico, metaforico, ma anche testuale), i falchi nostrani escono sconfitti e ridimensionati.Non c’è nulla di meno "inedito" della visita di un premier italiano a Washington, eppure questa volta verrebbe da pensare che si tratti di qualcosa di più e di diverso di una semplice
photo opportunity. L’Italia di Letta ha portato con sé un patrimonio consolidato fatto di buona reputazione e lealtà in un settore al quale qualunque amministrazione americana annette straordinaria rilevanza: la sicurezza internazionale. Dalla fine della Guerra Fredda in poi, al di là delle maggioranze e dei premier che si sono avvicendati a Roma, l’Italia si è costruita un capitale di credibilità grazie allo spirito di sacrificio e alla professionalità dimostrati dalle nostre Forze Armate ovunque esse siano state impiegate. Anche in termini più generali, di sostegno alla politica estera americana, l’Italia non ha mai assunto posizioni polemicamente ostili , anche quando, come nel caso recente della crisi dei gas usati contro i civili in Siria, il nostro Paese ha correttamente valutato che l’interesse nazionale non andasse nella direzione di appoggiare un intervento militare unilaterale contro il regime di Assad.Ma Letta deve anche giocare una partita più ambiziosa e, in questo senso, smontare la sfiducia diffusa soprattutto presso la comunità economica degli Stati Uniti sulle capacità di ripresa economica del nostro Paese. Si tratta di un’impresa tutt’altro che facile, tanto più considerando operazioni fortemente contestate all’estero come l’ennesimo "salvataggio" pubblico di Alitalia o le timidissime riforme economiche annunciate nella manovra finanziaria licenziata dal Consiglio dei ministri. D’altronde, il mutato clima nei rapporti tra Italia e resto d’Europa (intesa quest’ultima come Unione e come principali partner europei) può fornire a Enrico Letta una sponda utile alla quale appoggiarsi. Di sicuro, a garantire al nostro premier un ascolto attento da parte del presidente americano ci sono il vigore e la determinazione con cui l’Italia, più di molti altri soci europei, sta lavorando per la concreta realizzazione di quell’area economica integrata transatlantica il cui scopo ultimo dovrebbe essere quello di fornire un contrappeso economico alla sempre crescente attrazione operata dal Pacifico nei confronti dell’America. È un’operazione cruciale per rinsaldare le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico e per evitare che, anche in questo campo, le derive dell’economia si impongano alla logica della politica.