Botta e risposta. «La boxe è violenza, non sport». Quella è fuori del ring, non dentro
Gentile direttore,
sono un abbonato di 'Avvenire', orgoglioso del fatto che il mio giornale difende in modo chiaro e netto i diritti dei più deboli, siano essi migranti o persone seguite dal vasto campo del volontariato e del Terzo settore. E lo sono che del fatto che levate la voce senza timori di sorta e senza piegare il capo di fronte ai nuovi potenti e agli attacchi scomposti che vi hanno riservato. Nello stesso tempo però le esprimo tutto il mio sconcerto per la pagina intera che, sul numero di mercoledì 9 gennaio 2019, avete dedicato al pugilato. «Formidabili quegli anni», il titolo del lungo servizio in cui si parla delle 'imprese' di Georges Foreman e di Muhammad Alì. E nell’articolo in basso il titolo è: 'In Italia cercasi il nuovo Benvenuti'. Poi nella seconda riga di questo titolo si parla delle speranze legate al pugilato femminile. E tutta la pagina, entrambi i servizi, ad esaltare la boxe, che viene definita 'un’arte nobile'. Ma come? Che nobiltà c’è nel dare pugni a un’altra persona, nel romperle la faccia, nel colpirla così fortemente e a lungo da farla crollare a terra? Che sport sarebbe il pugilato? Come considerare attività sportiva quella che ha come scopo mettere al tappeto l’avversario? Che attività sportiva è quella dove per vincere bisogna far male a un’altra persona? Siamo di fronte a una sorta di nuovi giochi gladiatori, con il pubblico ad applaudire per ogni colpo che va a segno e ad incitare il proprio beniamino perché colpisca di più e in modo sempre più forte. Non ci si ricorda più di quanti pugili sono rimasti segnati a vita a seguito dei combattimenti sul ring! E invece di criticare il pugilato in sé, si auspica addirittura che da quello femminile provengano risultati positivi! Certo, il pugilato è uno sport olimpico, ma questo non certifica che sia uno sport eticamente accettabile. Anche il gioco d’azzardo è previsto e regolamentato dalla legge ma, come 'Avvenire' ci ricorda sempre, questo non ne garantisce la bontà e la positività. Veramente deluso e sconcertato. Cordiali saluti.
Anselmo Palini Polaveno (Bs)
La 'nobile arte', per indicare il pugilato, non è definizione che abbiamo coniato noi, gentile e caro signor Palini, ma è antica come questa disciplina. E, come lei probabilmente sa, esiste una letteratura sterminata (americana in particolare) che negli ultimi cento anni ha esaltato e anche indagato a fondo – da bordo ring – storie di campioni, più o meno esemplari, della boxe.
Uno dei film più importanti del nostro cinema, 'Rocco e i suoi fratelli', di Luchino Visconti, utilizza il protagonista (Alain Delon) per raccontare un’Italia del dopoguerra, fatta di povertà ed emigrazione, che trova riscatto proprio attraverso l’ingresso in una palestra milanese. Dai ghetti americani, fino alla scuola pugilistica di Marcianise, spesso quella palestra pugilistica ha tolto dalla strada decine di ragazzi, altrimenti destinati a riempire i serbatoi della malavita. Questa è la funzione sociale di uno sport (olimpico) che sicuramente, come dice lei, si basa sul dolore violento che si prova nel ricevere anche pugni in faccia, ma le posso assicurare per essere stato testimone diretto di Mondiali, Europei e Olimpiadi che c’è molta più violenza fuori e dentro un campo di calcio (traumi e contatti compresi) che su un ring. I pugili rispondono a un codice etico che è quello di non usare mai la violenza fuori dal quadrato e questo vale sia per gli uomini sia anche per le atlete della più giovane disciplina femminile. Mi perdoni, ma paragonare il gioco d’azzardo a uno sport che richiede impegno, sacrificio e allenamento quotidiano, non mi pare assolutamente calzante come accostamento.
Possiamo essere d’accordo semmai sugli effetti collaterali dei colpi ricevuti in carriera che spesso provocano malattie neurodegenerative (molti i pugili morti di Parkinson, come il 're dei massimi' Cassius Clay-Muhammad Ali) e su questo in passato 'Avvenire' ha scritto pagine che denunciavano certe 'morti bianche' di atleti del ring... Morti che però si ritrovano anche in altri sport (calcio compreso) altrettanto nobili e discutibili quanto il pugilato. Grazie per questo rispettoso e franco scambio di idee. Anche a nome del direttore ricambio il suo cordiale saluto.