Analisi. La bolla delle società hi-tech è una storia già vista in Borsa
Da Amazon a Tesla, da Zoom a Shopify: i mercati continuano a premiare i titoli delle realtà più innovative e «green». Ma tra gli esperti ora i dubbi aumentano
Dall’esordio in Borsa, avvenuto nel maggio 1997, le azioni Amazon sono cresciute in modo esponenziale. Il prezzo del titolo è passato da una manciata di dollari del debutto agli oltre 3.550 dollari toccati nel settembre 2020. Il risultato è un incredibile +177.000%. In pratica, chi avesse puntato mille dollari sul futuro colosso dell’e-commerce, mantenendo i nervi saldi durante le turbolenze e senza vendere nelle fasi di rialzo, avrebbe guadagnato 1,7 milioni. Non a caso il fondatore dell’azienda, Jeff Bezos, si è confermato recentemente fra gli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio personale di 186,6 miliardi, assieme a Elon Musk, il fondatore di Tesla. Solo un altro titolo invece ha fatto di meglio, sul lungo periodo e partendo dalla data di avvio delle contrattazioni: è la Microsoft di Bill Gates, che dall’esordio avvenuto nel maggio 1986 ha trasformato mille dollari in 2,1 milioni. Una corsa proseguita anche nel 2020, con forti guadagni un po’ per tutti i tecnologici quotati a Wall Street, favoriti dalle attese di un cambio radicale dello stile di vita post-coronavirus.
Amazon ha così guadagnato circa l’80%, Apple il 75%, Facebook e Microsoft il 33%, contro il +43% del Nasdaq, il listino tecnologico americano che durante l’anno ha ripetutamente aggiornato i massimi storici, mentre gli altri indici internazionali facevano i conti con l’impatto del Covid-19. Rialzi astronomici che hanno fatto scattare l’allarme su una possibile nuova bolla delle 'dot.com', come quella che nel marzo 2000 fece piazza pulita di una miriade di aziende digitali, risparmiando però quelle divenute col tempo i maggiori colossi mondiali. Oggi, del resto, realtà come Amazon o Facebook sono entrate a far parte della quotidianità di miliardi di persone. Nell’anno della pandemia però altri titoli sono finiti nel mirino di acquisti compulsivi da parte degli investitori. Fra gli ultimi arrivati, Snowflake (software) ha debuttato con un +111% nella sola prima seduta e 70 miliardi di capitalizzazione, Doordash (consegna cibo a domicilio) +80% all’esordio, Zoom (videoconferenze) +72%. Titoli 'alla moda' come la stessa Zoom e Shopify ( e- commerce) quotano addirittura mille volte gli utili attesi nel 2021, contro 21 volte del Nasdaq, mentre Amazon ha un rapporto prezzo/utili (P/E) sul 2021 intorno a 70 volte, certamente elevato ma considerato sostenibile dal mercato.
«In piena crisi da coronavirus sono state letteralmente prese d’assalto sul mercato azionario, in particolare americano, tutte quelle aziende tecnologiche che parevano avere in mano un business indipendente se non addirittura favorito pro- prio dalla crisi stessa e dai vincoli caduti sui business più tradizionali – spiega Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti Am Sim –. I flussi in acquisto sono stati significativi sia da parte degli investitori professionali che da quelli 'retail'. Molti investitori sono andati nella stessa direzione, anche in virtù dell’ampia disponibilità di liquidità del momento, generando il noto effetto volano alimentato anche dai media e dai social sempre più veloci ed efficaci ad enfatizzare lo stato d’animo del momento». Secondo Allegri, dunque, la valutazione oggi di una azienda quotata richiede sempre più un approccio innovativo, distante dagli strumenti tradizionali «e il P/E – continua Allegri – rappresenta certamente uno di questi indicatori classici diventati insufficienti a garantire il successo di una scelta, quando diventa sempre più importante conoscere i bias comportamentali (distorsioni dei comportamenti, ndr) degli investitori, che si ritrovano nell’andamento stesso delle quotazioni. Il rientro in un contesto economico almeno in parte più tradizionale andrà a normalizzare anche questi eccessi: i segnali chiari di rotazione che si sono registrati negli ultimi mesi sembrano confermare questa nuova tendenza potenzialmente emergente. Tuttavia il ritorno alla normalità richiederà tempi più lunghi del previsto e di certo il cambiamento culturale imposto da questa pandemia non avrà impatti solo temporanei».
Secondo Michele De Michelis, Responsabile Investimenti di Frame Asset Management, invece, «esistono alcune aziende che hanno oggettivamente dei business fantastici e che meritano di trattare a dei multipli molto aggressivi, perché i loro utili salgono in maniera esponenziale. Pur tuttavia, non bisogna mai dimenticarsi che esiste anche la concorrenza e che anche se vendi l’acqua nel deserto, perché hai inventato un macchinario che estrae acqua dalla sabbia, ad un certo punto verrai copiato e i tuoi margini tenderanno a stabilizzarsi, nel migliore dei casi. Per tale motivo, quando ci si trova di fronte a delle esagerazioni o alla creazione di piccole bolle non supportate da fondamentali, inevitabilmente prima o poi avvengono correzioni molto profonde. Basta andare a vedere la storia dei colossi di oggi, come Apple, ma ancor di più Amazon, che durante lo scoppio della bolla arrivarono a perdere l’80-90%».
Oltre all’aspetto di una bolla dovuta all’eccesso di fiducia in società che hanno approfittato nell’emergenza c’è poi il discorso del tipo di investitori (hedge fund e anche diversi fondi pensione) che guardano ai guadagni di breve periodo, e non possono essere considerati 'soci stabili'. Questo spiega anche la disparità di trattamento che si registra nei confronti di start-up tecnologiche, penalizzate solo perché meno popolari e bisognose di più tempo per sviluppare i propri progetti. In questo momento fa discutere soprattutto il caso di Tesla (in un anno ha guadagnato il 700%) che fra l’altro ha recentemente debuttato sull’S& P 500, il più importante indice azionario Usa. «Il mio parere su Tesla? Credo che la valutazione che dà il mercato a questa società non abbia alcun senso, nemmeno se i suoi manager non sbagliassero un colpo per i prossimi dieci anni – sostiene ancora De Michelis –. Anzi, la sua entrata nell’indice S&P 500 crea un inquinamento dei multipli medi portando il P/E dell’indice da 29 a 31». Ci sono altri segnali che possono essere considerati problematici: «È sconcertante ad esempio che i pochi utili che fa Tesla non vengano dal suo core business ovvero dalla vendita delle macchine, ma dalla vendita dei crediti ambientali. Oppure il fatto che nonostante la capitalizzazione in Borsa superi i 600 miliardi, per aumentare gli investimenti nella ricerca debbano fare un aumento di capitale per trovare 5 miliardi. O che abbia dovuto sospendere la costruzione della Gigafactory di Berlino- Brandeburgo perché non c’erano 100 milioni da depositare come garanzia».
Si potrebbe dire, inoltre, che gli effetti di questa pandemia si sono trasferiti non solo sul settore tecnologico, ma hanno alzato i riflettori su tutte quelle aziende carattrizzate da un approccio smart e innovativo al business, generando dei veri e propri casi di 'moda'. È l’opinione di Allegri, che mette in guardia dal rischio che il 'gregge' degli investitori sia attratto dall’enfasi posta sulle 'alternative sostenibili' e la 'rivoluzione tecnologica'. «In generale i valori intangibili la fanno sempre da padrone nei bilanci aziendali e sui mercati – spiega l’ad di Ambrosetti Am Sim –, ma nei casi sopra indicati si lavora dichiaratamente sulle aspettative, che sono presunte, e non sempre combaciano con la realtà futura, soprattutto quando sono alimentate da una speculazione a breve e medio termine».
Il rischio, dunque, che le attuali valutazioni di Borsa siano effettivamente gonfiate, è molto alto, continua Allegri, «ma lo è soprattutto nel caso di aziende 'nascenti' con un modello di business in formazione in un mercato oggi certamente stressato e capace di performance in negativo e in positivo di carattere straordinario». Al di là degli eccessi, che sono evidenti, c’è un’altra fondamentale ragione che aiuta le quotazioni a restare elevate: «L’indirizzo normativo in atto, molto favorevole alle idee green e della tecnologia di servizio, manterrà alto l’interesse per gli investimenti nelle aziende che si dimostreranno in grado di garantire o proporre una evoluzione del loro business in questa direzione ». Già, ma fino a quando?