Ruolo, limiti e faticosi doveri dell'Onu. L'azzurra scialuppa
La sessione plenaria dell’Assemblea generale dell’Onu può sempre essere interpretata con due opposte lenti di lettura. Da un lato, può essere considerata come la manifestazione più lampante, la "prova provata" della disunità del mondo, per riprendere l’intrigante titolo di un lavoro di Luigi Bonanante di qualche anno fa. Ovvero un rito inutile e defatigante durante il quale leader democraticamente eletti e quindi, dal nostro punto di vista, maggiormente legittimati condividono la tribuna con dittatori sanguinari, autocrati eterni, sceicchi misogini e chi più ne ha più ne metta. Alternativamente, può essere considerata come le sole assise globali (nella membership) e generali (nei temi) nelle quali visioni anche molto diverse del mondo e responsabili politici dalle più disparate tradizioni e culture hanno l’opportunità di doversi, se non confrontare, per lo meno ascoltare. Piaccia o meno, è la dimostrazione del pluralismo politico – anche divergente e talvolta conflittuale – che caratterizza lo stato del mondo contemporaneo. È nella plenaria dell’Assemblea generale che l’Onu si mostra nella sua natura di "Parlamento", se non dei popoli, degli Stati che li governano.
È una precisazione importante, questa, perché in una fase come l’attuale, caratterizzata dal venir meno della leadership americana (e occidentale) sul sistema internazionale, il rischio di una chiusura difensiva reciproca "tra mondi" è molto maggiore di quanto potesse essere negli anni in cui the Rest doveva conformarsi alle pressioni del West. È oggi più che mai che la consapevolezza della diversità deve spronarci al perseguimento del multilateralismo (come metodo di lavoro) allo scopo di favorire una per nulla scontata convergenza sui quei princìpi per noi universali, ma che tanti altri ritengono essere semplicemente la versione da esportazione dei princìpi e, soprattutto, degli interessi occidentali.
La contestazione dell’universalità dei princìpi di cui le Nazioni Unite sono il precipitato istituzionale e il custode – spesso disarmato, spesso impotente, ma comunque il solo di cui disponiamo – è storicamente avvenuta in maniera prevalente dai leader dei Paesi che nell’Onu sono entrati a seguito dei processi di decolonizzazione e che, sovente, hanno fatto delle rivendicazioni delle proprie peculiarità storiche e culturali e della innegabile storia di sfruttamento coloniale un pretesto per limitare le libertà dei propri sudditi-cittadini. Oggi però non possiamo nascondere e nasconderci che anche dal cuore dell’Occidente si levano molte voci, alcune potentissime, che, senza negare il valore universale di quei medesimi princìpi, ne mettono però in discussione la concreta applicazione a tutti e a chiunque.
Non c’è dubbio che in simili condizioni sarebbe ingenuo attendersi clamorosi esiti di avvicinamento o riconciliazione tra gli Stati Uniti di Trump e la Repubblica islamica dell’Iran, o tra israeliani e palestinesi (tanto per fare solo un paio di esempi). Se stiamo correndo il rischio di far saltare il banco noi europei, nonostante una ultracinquantennale vicenda istituzionale unitaria e una comunità di storia e cultura che ha pochi eguali al mondo, perché pretendere che assise che inglobano ben altre differenze e divergenze – talvolta obiettivamente irriducibili – debbano produrre un momento di sintesi o sincretismo? Accontentiamoci se, nelle prossime ore, la necessità del confronto prevarrà sui toni dei discorsi dei leader: toni che saranno sicuramente retorici, propagandistici e infiammati.
Se accontentarsi può sembrare poco, se può apparire una posizione rinunciataria o rassegnata, ricordiamoci piuttosto di una cosa: di come per decine e decine di milioni di persone nel mondo, ora, in questo preciso momento, la sopravvivenza delle Nazioni Unite e delle sue agenzie e la pervicace riaffermazione dello spirito dal quale sorsero, faccia la differenza tra la vita e la morte, tra la speranza non metaforica di continuare ad avere 'un giaciglio per la notte' e la disperazione più nera e totale. Non c’è dubbio che nella sua funzione decisamente troppo ambiziosa di 'governo del mondo' l’Onu abbia lasciato, lasci e lascerà molto a desiderare. Ma ha assolto sempre più che degnamente a quella, ben più preziosa, di testimonianza della natura tanto plurale quanto unitaria del pianeta sul quale viviamo: plurale nelle sue componenti, unitaria nel suo destino. E della responsabilità che ognuno di noi ha verso i nostri simili e verso quest’azzurra scialuppa nell’immensità dell’universo, unica, insostituibile e (per ora) assai poco riparata e riparabile, chiamata Terra.