Opinioni

Il direttore risponde. La tragedia alla Saras ci impegna

sabato 30 maggio 2009
Caro Direttore,il bagno nessun turista si sogna di farlo a Sarroch, si va nelle vicine Pula e Domus de Maria. Sarroch ha un nuraghe – Sa domu ’e s’ Orcu – e le Tombe dei Giganti e si trova presso la costa occidentale del Golfo degli Angeli. Non ci saranno seppelliti 3 morti sul lavoro in quella tomba, non erano dei giganti dell’economia produttiva, né tantomeno degli angeli. Un minuto di silenzio alla Camera per 3 operai morti, otto ore di sciopero dei colleghi che pagheranno di tasca loro proposti dai sindacati, cordoglio e indagini avviate da tutte le istituzioni. L’origine del nome Sarroch, il luogo della tragedia, è misteriosa. Rimarranno forse misteriose anche queste morti, come quelle a Pietradefusi in Campania, dove un operaio è caduto dall’altezza di 10 metri mentre riparava il solaio di un capannone industriale. E in Puglia, ad Andria, dove un altro uomo è morto dopo essere stato colpito e trascinato da un nastro trasportatore nel cantiere del cugino, e non perché investito mentre era in bicicletta. Possiamo sapere che la Saras ha una sicurezza globale, ha un’operatività attenta all’ambiente, ha un sistema completo e complesso di produzione, e anche che lo stabilimento della Saras è stata fondato da Angelo Moratti nel 1962 e ha dato ricchezza alla Sardegna, in luoghi dove si viveva miseramente con l’agricoltura e la pastorizia... Altro che crisi, in Italia ci dicono che c’è 'bassa produttività'. La malattia mortale ha colpito ancora, non è febbre suina, niente di virale. Nessuna paura, 'loro' stanno lavorando per noi, sono attenti all’ambiente perché il futuro è di tutti, come la morte per alcuni, anzitempo: un rischio da correre. Sotto accusa rimane il nostro silenzio, e non di un minuto, ma per la vita.

Doriana Goracci

L'amarezza che traspare da queste sue accorate considerazioni, cara Doriana, mi fa cogliere un profondo coinvolgimento, un dolore acuto. La ringrazio per averne reso partecipe la famiglia di Avvenire, che condivide nel profondo la sofferenza di tanti italiani al cospetto di notizie come questa. È lo stesso sgomento che anch’io ho provato quando dai primi lanci d’agenzia, attorno alle 15.30 di martedì, ho appreso del dramma che si era appena consumato nella grande raffineria alle porte di Cagliari. Tre vittime, le loro famiglie, l’apparente spietatezza di un meccanismo produttivo che in tanti settori – in primis l’edilizia – chiede ancora un tragico prezzo a chi con grande fatica e pericolo personale cerca semplicemente un futuro per sé e i propri cari. Questo dramma del lavoro ci riporta in quella Sardegna dove l’occupazione va sfumando per tanti operai, a colpi di centinaia di posti persi a ogni impianto che chiude, alimentando la triste contabilità di impieghi evaporati in tutta Italia che abbiamo aggiornato con la nostra inchiesta sulla crisi regione per regione. Sono d’accordo con lei: nessun gesto pare all’altezza di una morte per lavoro. È una delle tante vicende umane di fronte alle quali si è colti dal senso di un’ingiustizia che leva il fiato, e che ci fa sentire una volta in più sproporzionati rispetto al mistero di una morte improvvisa, incomprensibile, piombata proprio là dove si cercava la piena realizzazione della propria dignità. Proprio per l’incommensurabilità della ferita che si riapre ogni volta che veniamo a sapere di un caduto sul lavoro – e purtroppo accade quasi tutti i giorni – nulla appare eccessivo perché si circoscriva sempre di più questo stillicidio quotidiano, sino a estinguerlo. Le norme di sicurezza sono severe, in talune produzioni – come nelle raffinerie – dettano comportamenti che rendono sempre più rari episodi come quello di Sarroch. Forse proprio per questo quando la tragedia arriva colpisce come un pugno allo stomaco. Abbiamo saputo che lì come altrove gli operai sanno bene quel che devono fare, ma la pericolosità del loro lavoro è tale che il confine tra la vita e la morte a volte si fa sottilissimo, dentro una cisterna o sul tetto di una casa in costruzione, nella cabina di un camion o accanto a una pressa... No, no stiamo in silenzio, cara Doriana: la morte per lavoro non è una fatalità che va subìta come un destino, ma una piaga contro la quale si può fare ancora molto, dall’imprenditoria alla politica, ai mezzi di comunicazione, che devono rendere sempre più acuta la sensibilità di tutti. Quanto a noi, il dolore che immaginiamo in quelle famiglie private del padre, del fratello, del figlio ci riporta ogni volta di fronte alla nostra coscienza. E non ci consente di liquidare questa strage continua come un effetto collaterale del nostro fragile benessere.