Dignitas infinita. Ma l'uomo è degno a prescindere
Laura Palazzani
Il tema della dignità umana non è certo un tema nuovo. Eppure oggi è tornato al centro della riflessione. La Dichiarazione “Dignitas infinita, circa la dignità umana” del Dicastero per la Dottrina della Fede nasce da un’urgenza che la Chiesa avverte: l’urgenza di rendere tutti noi consapevoli che per quanto si registri un «consenso piuttosto generale» sull’espressione «dignità umana», tale espressione si presta a «possibili equivoci». Nel documento si richiama esplicitamente più volte alla Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo (1948) dell’Assemblea generale della Nazioni Unite dove sin dall’articolo 1 si afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti». Ma cosa significa propriamente “dignità umana”?
La Dichiarazione del Dicastero parla di «dignità infinita», intendendo con questo aggettivo che la dignità è esente da limiti quantitativi nel tempo e nello spazio: è in ogni uomo, in tutti gli uomini; da sempre e per sempre; ovunque. La dignità riguarda l’uomo in quanto uomo, al di là di ogni apparenza esteriore sul piano fisico, psichico e/o sociale o oltre ogni caratteristica concreta. L’uomo è degno a prescindere dalla fase di sviluppo che ha raggiunto (può essere un embrione o un soggetto morente); a prescindere dalle capacità che manifesta (può essere non ancora in grado o non più in grado di ragionare, volere, decidere); a prescindere dalle condizioni fisiche e/o psichiche (può essere sano o malato, abile o disabile); a prescindere dalle condizioni sociali (può essere ricco o povero); a prescindere dall’appartenenza etnica (può avere un diverso colore della pelle o appartenere a differenti culture). La dignità è umana in quanto “prescinde da” circostanze, situazioni e caratteristiche specifiche che ci rendono tutti “diversi” l’uno dall’altro. La dignità riguarda il nostro “essere” che ci costituisce come “uguali”.
In questo senso il documento parla esplicitamente di «dignità ontologica», che è anche «dignità morale, sociale ed esistenziale»: ossia si esprime nell’essere umano in ogni condizione della nostra vita. Non esistono vite più o meno degne: la dignità non si acquisisce o si perde, perché la dignità o c’è o non c’è. È una alternativa ontologica radicale. La filosofia giustifica sul piano della ragione il fondamento della dignità nella natura intrinseca dell’uomo, quale “dato originario” che siamo chiamati a “riconoscere” a priori. La dignità non è “conferita” e “attribuita” a posteriori, a qualcuno da qualcuno: se così fosse dipenderebbe da un arbitrio della volontà. La teologia cristiana, in modo complementare alla filosofia, rafforza la verità della ragione con la fede che ci rivela di essere creati a «immagine e somiglianza» di Dio.
La Dichiarazione non si ferma alla teorizzazione filosofico-teologica ma scende nella pratica per applicare il significato di dignità umana ai problemi centrali della nostra epoca. Viviamo in un mondo dove, purtroppo, abbiamo esempi continui di «gravi violazioni» della dignità umana: la povertà come effetto della distribuzione iniqua delle risorse nel mondo; la guerra, con la devastazione, distruzione e dolore che produce inevitabilmente; il travaglio dei migranti, con emarginazione, esclusione, sfruttamenti; gli abusi sessuali, con ferite indelebili per la vita; le violenze contro le donne e le diseguaglianze inaccettabili.
Molti i temi di bioetica menzionati: aborto, maternità surrogata, eutanasia e suicidio assistito, richiamando alla «cultura della vita» dall’inizio alla fine contro la «cultura dello scarto». Anche i temi delle nuove tecnologie digitali sono menzionati, con le sfide e i pericoli che portano con sé. La Dichiarazione dunque ci stimola ad aprire gli occhi, a non «attenuare la coscienza», ma a identificare le violazioni, a porre attenzione anche a quelle meno evidenti, più silenziose, nascoste dietro linguaggi ambigui o a ideologie subdole, per comprendere che ogni violazione della dignità è una sconfitta per l’uomo e per l’umanità. La dignità umana ci insegna a reagire alle violazioni, a usare il linguaggio dell’uguaglianza e dell’equità, della pace, dell’accoglienza, dei doveri oltre che dei diritti, dell’amore e della cura, nella relazione, nella reciprocità. E nel riconoscimento dell’appartenenza alla comunità umana.