Opinioni

Editoriale. L'Unione è congelata: domande e risposte sul futuro che ci attende

Andrea Lavazza martedì 11 giugno 2024

Più di un elettore europeo su due non ha voluto sacrificare 30 minuti del proprio tempo per recarsi ai seggi. Tra chi l’ha fatto, quasi un terzo ha scelto partiti che dell’Europa hanno una visione per lo più limitata alla condivisione di uno spazio economico (e anche qui con eccezioni a favore dei singoli Stati). Oggi, però, molti sono curiosi di sapere che Ue sarà quella uscita dalle urne di domenica. Il nuovo Europarlamento è ancora a maggioranza filo-europea e filo-ucraina, ha detto a sorpresa il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. E, per quanto sia maliziosa e interessata, si tratta di un’analisi che fotografa in parte la realtà. Non c’è stato un travaso di consensi a livello continentale capace di ribaltare gli equilibri attuali, e la maggioranza a Strasburgo potrebbe ripetere lo schema che ha portato all’elezione di Ursula von der Leyen cinque anni fa. Eppure, in un contesto bellico nel quale l’Unione sembra essere sotto pressione come mai in passato e suscettibile di diventare un attore decisivo nelle crisi in atto, ben più di quanto possa fare ciascuno dei 27 membri, il voto per scegliere 720 deputati è rimasto in gran parte influenzato dai contesti specifici di svolgimento. E in questi ultimi ha prodotto conseguenze certamente significative e con potenziali effetti di lungo periodo. A Parigi e Berlino, i cittadini hanno voluto mandare un chiaro messaggio di insoddisfazione ai propri governi, premiando le forze al momento all’opposizione e gruppi apertamente anti-sistema, come Alternative für Deutschland in Germania. Il presidente francese Emmanuel Macron, fortemente indebolito, chiamando subito al rinnovo dell’Assemblea nazionale, cercherà di mobilitare il “fronte repubblicano” per evitare che il Rassemblement National di Marine Le Pen ripeta la vittoria appena ottenuta.

Il cancelliere Olaf Scholz proverà a resistere con un esecutivo ormai chiaramente in minoranza. I due pilastri della Ue scricchiolano nel momento in cui serve sostenere l’edificio europeo in un passaggio chiave. Il Parlamento, unico organo a elezione diretta, non ha le chiavi delle decisioni, anche se il prossimo presidente della Commissione dovrà avere il via libera dall’Assemblea. A decidere sono i capi di Stato e di governo, riuniti nel Consiglio europeo. E qui pesano di più l’arrivo di un premier espressione della nuova alleanza quasi-sovranista nell’Olanda di Geert Wilders o il voto di settembre nell’Austria “nera” rispetto ai risultati di domenica. Ma se un messaggio da portare a casa c’è in questa tornata, esso sta nella fragile continuità che la Ue potrebbe manifestare nei prossimi mesi e anni. Nel caso (probabile) venga confermata a Strasburgo l’alleanza tra popolari, socialisti e liberali (con possibili aggiunte), l’orientamento centrista rimarrebbe a caratterizzare la legislatura che si avvia. Tuttavia, con il chiaro sottofondo che è mancato il sostegno di partecipazione e di scelta politica a favore di un’Unione più forte e capace di trovare quella politica estera e di difesa comune di cui si è provato a parlare durante i mesi precedenti.

Hanno prevalso i temi identitari, i timori per le migrazioni, le ansie di un’escalation militare, la diffidenza verso l’agenda verde, insieme allo scontento per situazioni economiche in peggioramento (come nell’ex Germania orientale). Insomma, un atteggiamento difensivo, di ripiegamento e persino di chiusura che ha segnato anche i programmi di formazioni che hanno come riferimento il Ppe. Difficile quindi immaginare un rinnovato dinamismo europeo. Piuttosto vi sarà da attendersi una maggiore cautela sui principali dossier, con i leader preoccupati soprattutto di non dare troppo spazio alla delega verso Bruxelles per non vedersi sottrarre consensi dalle forze euroscettiche pronte a cavalcare l’onda. La stasi e lo stare a guardare, senza andare oltre l’ordinaria amministrazione, è però un lusso che forse presto non potremo permetterci. Che fare della guerra ai nostri confini? Come porsi di fronte a un’Ucraina che vacilla sotto gli attacchi russi e chiede di essere il 28° membro? Come muoversi da gennaio, quando si sarà insediato il prossimo inquilino della Casa Bianca (soprattutto se sarà Donald Trump)?

Le politiche comuni e senza precedenti che hanno caratterizzato il passato quinquennio, dalla risposta sanitaria alla pandemia fino al Next Generation EU per sostenere i Paesi più colpiti finanziandoli con debito comune, potrebbero andare rapidamente in soffitta. C’è da auspicare di no. Ma dobbiamo comunque fare i conti con le scelte espresse dalle persone in uno spazio democratico che rispetta la volontà popolare. In Italia, quasi la metà dei votanti ha manifestato apprezzamento per liste che non vogliono più Europa. Conforta che il progetto della Ue si è dimostrato un successo di lungo periodo, mentre le ondate populiste hanno un ciclo meno esteso, come indicano i dati in arrivo da alcuni Paesi dell’Est.

In prospettiva, sembra opportuno pensare a diverse forme di coinvolgimento dei cittadini. Per esempio, superando il voto circoscritto nei confini degli Stati e introducendo liste sovranazionali, per togliere il valore di test interno alle elezioni europee e indurre attenzione a ciò che riguarda tutti nel Continente. Un passo che aprirebbe scenari più luminosi per un’Unione ancora bisognosa di slanci e adesioni di cuore oltre che di ragione.