Opinioni

Il ricordo. L'umanità semplice di Giovanni Paolo II

Paola Bignardi giovedì 3 aprile 2025
L'umanità semplice di Giovanni Paolo II

Ero anch’io in piazza San Pietro, quella sera del 2 aprile, quando il campanone della basilica con i suoi rintocchi gravi annunciava a tutto il mondo che Papa Giovanni Paolo era approdato all’altra sponda, al di là di ogni dolore, di ogni responsabilità, di ogni malattia, accolto in quell’abbraccio del Padre in cui tutto si compiva.
Mi viene da ripensare al cammino fatto con lui, soprattutto per comprendere insieme l’Azione Cattolica nel nuovo contesto ecclesiale e civile che si andava configurando in quegli anni. Ripenso ai molti incontri, alla familiarità dei nostri dialoghi; gli ultimi, penosi, quando a parlare ero quasi sempre io, per la fatica che gli costava articolare le parole, e tenere insieme parola e respiro.
Due volte l’anno, in genere prima di Natale e attorno a Pasqua, ricevevo un invito a pranzo, insieme all’assistente generale dell’Azione Cattolica. Lì ho conosciuto l’umanità semplice di Papa Giovanni Paolo, padre, uomo come tutti, segnato ogni anno più dal male che gli induriva i lineamenti, rendeva invisibile il sorriso, gli faceva corto il respiro e faticoso ogni movimento.
La prima volta che venni invitata, immaginavo di trovarmi, commensale imbarazzata, in una tavolata di ospiti illustri. Mi trovai invece in una sala da pranzo normale, semplice, inaspettata dopo aver percorso i sontuosi e solenni corridoi del palazzo.
Eravamo a tavola solo in cinque: il Papa, i suoi due segretari, l’assistente dell’Azione Cattolica ed io; una mensa dove si poteva parlare con familiarità, discutere, confrontarsi in un clima di normale serenità. Parlammo a lungo in quegli incontri della Chiesa, dei laici; aveva tante domande il Papa, voleva capire, conoscere, approfondire gli aspetti di un’associazione che lui tendeva ad assimilare ad una realtà analoga della sua Polonia. Capivo che a poco a poco entrava in un altro orizzonte. Non so fino a che punto si sia reso conto dell’originalità del cattolicesimo italiano rispetto a quello polacco, ma capivo che apprezzava la nostra esperienza così com’era, condivideva gli sforzi di rinnovamento che avevamo messo in atto per fare dell’Azione Cattolica una realtà vivace, contemporanea, pur nella fedeltà alla tradizione di un laicato forte e feriale, capace di dono e di creatività nella vita quotidiana e umile della Chiesa.
Ascoltai con commozione il discorso che Papa Giovanni Paolo fece all’Assemblea Nazionale dell’AC del 2002; riconobbi nelle sue parole per tutti la sua stima per quello che eravamo, il suo apprezzamento per quanto stavamo facendo, la sua benedizione sui nostri sforzi. La carezza che ebbe per me, che uscivo da mesi di una malattia importante, mi parve una carezza per tutta l’AC che era lì a manifestargli affetto, gratitudine e l’amore di sempre alla Chiesa.
Non riesco a pensare a Papa Giovanni Paolo con la qualifica di santo; mi sembra che quell’aggettivo me lo allontani da quell’immagine umana, semplice, sofferente che ho conosciuto in lui e che ha fatto sì che gli volessi bene.
Gli incontri che me lo hanno fatto stimare di più sono stati gli ultimi, quando la malattia lo aveva già minato gravemente e ogni gesto era per lui fatica e sofferenza. In quegli incontri ho conosciuto il Papa fragile, limitato, bisognoso di aiuto, eppure forte nella dignità con cui ha vissuto la sua debolezza e quel declino progressivo che gli sottraeva vita. Eppure, proprio in quei momenti mi è sembrato un gigante: lui come noi nella nostra fragilità, eppure disposto ad andare fino in fondo nel suo servizio alla Chiesa, senza farsi sconti. Anche l’AC ha beneficato di questa sua dedizione, in quello straordinario incontro a Loreto, nel settembre 2004, il suo ultimo viaggio fuori Roma. Quell’incontro, nella gioia festosa per la beatificazione di Alberto Marvelli e di Pina Suriano, Papa Giovanni Paolo lo volle fortemente. Nella primavera del 2004 gli organismi che programmano gli impegni pontifici avevano già deciso che il Papa non avrebbe partecipato al pellegrinaggio, che fu l’incontro di tutto il laicato, in una straordinaria stagione ecclesiale, in cui furono possibili dialoghi inediti tra le varie espressioni dei laici cristiani, promessa di nuovi cammini di unità e di comunione.
In Azione Cattolica non ci demmo per vinti. Io chiesi direttamente al Papa, che anche in quel caso mi invitò a pranzo per comunicarmi che lui, a Loreto, sarebbe venuto. La celebrazione dell’Eucaristia, nella piana di Montorso, sembrò un supplizio per lui e per tutti noi, che avremmo voluto respirare al posto suo per alleviargli la fatica di quelle parole che sembravano non voler uscire.
Oggi a vent’anni dalla sua morte, ricordo con gratitudine questo e tanto altro, e penso Papa Giovanni Paolo con l’immagine con cui l’allora cardinale J. Ratzinger, che sarebbe stato chiamato a succedergli alcuni giorni dopo, concluse la sua omelia per le esequie: «Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice». Voglio immaginare che Papa Giovanni Paolo anche ora sia affacciato alla finestra della casa del Padre e che continui a benedirci.