Il dibattito. Misure contro la povertà: l'ora di scegliere
È un buon segno che il dibattito sulla lotta alla povertà sia tornato al centro dell’attenzione grazie alla spinta del Capo dello Stato e all’intenzione dichiarata da diversi ministri di rinvigorire l’impegno del governo in questa direzione. Come è noto dalla crisi finanziaria globale a oggi la quota di persone sotto la soglia della povertà assoluta in Italia è quasi raddoppiata, arrivando a oltre quattro milioni e mezzo. Cinicamente si potrebbe annotare che questo dato dimostra che la rilevanza politica ed elettorale del problema è oggi molto maggiore di un tempo e ci sono, dunque, gli "incentivi" affinché la classe politica affronti il problema con decisione. Sappiamo anche che sono in particolare difficoltà i nuclei famigliari con cinque o più componenti e che è aumentata in modo significativo la quota dei poveri tra i giovani (classe 18-34 anni) e persino tra chi lavora mettendo ancora una volta in risalto il fenomeno dei working poor (lavoratori poveri).
Il presidente Mattarella ha giustamente sottolineato l’importanza di lottare contro la disoccupazione per combattere la povertà, ma purtroppo il fenomeno dei lavoratori poveri indica che il collegamento tra posto di lavoro e sconfitta della povertà non è più automatico perché non è solo la quantità ma anche la qualità del lavoro a contare. Come è noto forme di reddito minimo esistono ormai in tutti i Paesi dell’Ue e sono particolarmente generose in Lussemburgo e Danimarca dove superano i mille euro. Per colmare il gap con il resto d’Europa, l’Italia ha avviato la sperimentazione del Sostegno d’inclusione attiva (Sia) che, un volta approvata la legge diventerà Reddito di inclusione (Rei) mettendo sul piatto circa un miliardo e mezzo di euro per quest’anno. L’Alleanza contro la povertà, il cartello che mette insieme molte organizzazioni di Terzo settore e società civile e che i lettori di "Avvenire" conoscono bene, calcola che ce ne vorrebbero almeno sette di miliardi per portare almeno alla soglia della povertà assoluta (il reddito necessario per acquistare un paniere di beni e servizi pubblici essenziali) tutti i quattro milioni e mezzo di poveri. Soglia che varia a seconda del costo della vita (Centro, Nord, Mezzogiorno, grandi aree urbane o piccoli Comuni) e della composizione ed età dei membri del nucleo familiare.
Per intenderci parliamo di 819 euro al mese per un single tra i 18 e i 60 in un’area metropolitana del Nord contro 552 euro per lo stesso individuo in un piccolo Comune del Mezzogiorno. Come è giusto che sia, per evitare abusi il Sia non è un assegno in denaro, ma un "buono" per gli acquisti per effettuare spese alimentari, di medicinali o per pagare bollette di gas e luce. Che può essere ottenuto solo dopo verifica della condizione effettiva del potenziale beneficiario e in cambio di un patto tra servizi sociali e famiglie. I primi si impegnano alla presa in carico dei beneficiari, mentre i secondi assumono una serie di impegni che riguardano contatti con i servizi, ricerca attiva di lavoro, partecipazione a progetti di formazione, impegno scolastico e prevenzione e tutela della salute. Dietro queste regole emerge il problema chiave della povertà che è essenzialmente una ferità della dignità umana e della vita di relazioni che va curata e risanata. La costruzione della relazione e la partecipazione attiva dei beneficiari è anche fondamentale per aumentare il "costo" di comportamenti fraudolenti da parte di evasori che lavorano in nero e intendono percepire il Sia.I problemi sul tappeto da risolvere sono molti e non riguardano solo l’aumento della spesa pubblica necessario per arrivare a regime (di per sé non ingente e pari a circa lo 0,4 percento del Pil). I meccanismi di domanda, accertamento e presa in carico sono farraginosi e presuppongono un’efficienza delle pubbliche amministrazioni locali di là da venire. Sarebbe importante in questa fase di copertura limitata e parziale trasformare tale limite in opportunità, testando con un esperimento randomizzato l’efficacia del Sia a livello locale e creando un sistema di premi per i Comuni più efficienti in modo da incentivare le amministrazioni a raggiungere livelli maggiori di efficienza. Sarebbe altresì di grande impatto politico in un momento difficile come questo per l’Unione Europea incorporare e integrare le varie misure nazionali per costruire un reddito minimo europeo.
Al di là dell’affinamento della misura, sappiamo bene che il rilancio dell’attività economica è il primo strumento di lotta alla povertà. È inaccettabile, da questo punto di vista, che le conseguenze della crisi abbiano portato una quota di giovani così elevata sotto la soglia. Un’iniziativa chiave diventa, dunque, quella del rilancio degli investimenti (ancora sotto del 30% rispetto ai livelli del 2007) con incentivazioni fiscali e super-ammortamenti indirizzati non solo all’acquisto di nuovi macchinari che incorporano innovazione tecnologica e aumenti di produttività, ma anche e soprattutto di giovani qualificati. Per curare la povertà dobbiamo infatti procedere con decisione in due direzioni fondamentali: da una parte curarne le ferite con uno strumento efficiente che combini sostegno economico e cura delle relazioni ferite con impegni e responsabilità, dall’altra prevenirla e ridurla migliorando la capacità del sistema economico di creare valore e distribuirlo equamente tra tutti i cittadini.