L'ora delle decisioni più responsabili. Tav: una storia che pesa e l'interesse generale
Nata come moto di resistenza di un popolo alla 'grande opera' per eccellenza, la Tav si è trasformata negli ultimi giorni a sorpresa nella trincea del sistema industriale del Nord Italia. Un esito paradossale e certamente inatteso, che non può spiegarsi solo con la storica distanza che si misura tra le esigenze di salvaguardia del territorio e della popolazione della Val Susa e le domande di sviluppo e progresso della borghesia sabauda.
È successo qualcosa, innanzitutto nel paludato mondo dell’impresa italiana e dei suoi rappresentanti, almeno a giudicare dal protagonismo delle associazioni di categoria, con Milano, Torino e Genova in campo insieme per difendere l’Alta velocità e l’Alta capacità ferroviaria destinata a collegare l’Italia e la Francia. L’idea che i flussi di persone e di prodotti, nei prossimi anni, possano tagliare fuori un’area strategica a livello economico come il Piemonte e in generale il Nord Ovest, ha fatto scattare l’allarme nel sistema delle aziende locali. E così sono spuntati altri simbolici cartelli 'Sì Tav', a fianco di quelli effettivamente agitati dalla minoranza in Consiglio comunale, nel giorno in cui la giunta Appendino ha bocciato l’opera.
Uno scenario impensabile fino a poco tempo fa, che segna anche la rottura del muro di silenzio dietro al quale i promotori dell’opera si erano accomodati. Va detto subito che un confronto numerico tra i sostenitori della Torino-Lione e gli storici oppositori si presenterebbe impari: troppo a lungo una valle come la Val Susa è stata lasciata sola, troppi sono stati all’inizio gli errori strategici commessi dai Governi, troppo profondo è stato il malessere covato da una parte importante della cittadinanza, troppi infine i conflitti di interesse che hanno avuto per protagonisti uomini delle imprese e della pubblica amministrazione. Per questo, il 'no Tav' ha avuto una storica ragion d’essere, che merita di essere riconosciuta ancora oggi. In fondo, era come se la base, rappresentata anche da esponenti del mondo cattolico locale, chiedesse a gran voce 'perché' fare un’opera del genere, seriamente preoccupata dalle conseguenze ambientali e sociali che una scelta di questo tipo poteva avere sul futuro di una comunità di confine già interessata da altre infrastrutture.
Il punto è quel che è successo dopo: la presa d’atto dei Governi nazionali che il percorso iniziale dovesse essere modificato, la scelta di coinvolgere attraverso un Osservatorio permanente i sindaci, le modifiche effettuate in corso d’opera sul tragitto e quindi l’apertura dei cantieri. Contemporaneamente, la contestazione è andata frammentandosi in diversi rivoli, non sempre ragionevoli, spesso più estremi e radicali. Senza dubbio, il 'popolo del no' ha saputo costruirsi una reputazione vincente, intorno a cui le attuali forze di governo, e in particolare il Movimento 5 Stelle, hanno saputo lucrare consensi.
Ora però occorre chiedersi se quell’ideale di comunità per cui si è combattuto, sentendosi addirittura in qualche caso 'partigiani' di un territorio contro il 'nemico' invasore (sono stati questi, in alcune stagioni, i toni del dibattito in valle, non si tratta di un’esagerazione) non debba adesso essere aggiornato. Sono stati ottenuti primi risultati in termini di logistica e trasporto locale integrato, si sono creati posti di lavoro e l’indotto è partito. Bloccare tutto è davvero rispondente all’interesse generale del Paese e così conveniente per la stessa Valle? Senza dubbio, chi ha saputo 'ascoltare il territorio' quando nessuno lo faceva, adesso non può ignorare che si è innescata una reazione uguale e contraria. Quella di chi chiede garanzie di sviluppo, di chi vede come un incubo la chiusura di cantieri aperti (che fine farebbero, poi?), di chi aspetta finalmente segnali di politica industriale e infrastrutturale degni di questo nome. Sacrificare la Tav sull’altare della ragion politica, garantendo un dividendo al M5s in cambio del via libera alla Pedemontana nel Nord-Est caro alla Lega, sembra essere un calcolo miope e di breve respiro. In gioco c’è la costruzione di comunità a misura d’uomo, finalmente pacificate dopo un conflitto sociale strisciante (e no) durato decenni. La parabola della Tav si è completata, ora è necessario decidere. Senza paura di scontentare qualcuno. Governare vuol dire assumersi responsabilità.