L'Italia non ha bisogno di governo? Il dubbio può venire, e va cacciato
Caro direttore,
novantaquattro anni, portati con la lucidità di dieci lustri in meno, in quella vecchiaia che un mio amico scrittore definiva «l’unica discesa che allarga gli orizzonti», con quel fiero distacco dagli eventi della politica tipico delle donne di quel tempo: mia madre. Costretta dagli anni e da una sofferta immobilità a grandi dosi di quel piccolo schermo che è spesso la rissosa compagnia di tanti anziani, segue giorno dopo giorno le evoluzioni di una crisi politica che sembra parlarle un linguaggio astrale. E dalla tv apprende pure l’eterno immutabile bailamme di questa povera Italia senza pace, di nuovo stremata dalla ripetitività di giochi preliminari alle consultazioni e agli sproloqui che accompagnano la formazione di una compagine governativa. Con la saggia intuizione della sua vicinanza al secolo di vita, mi pone una domanda disarmante e insieme pertinente: «A che serve in Italia un governo?». Già, non ci avevo mai pensato! In effetti in Belgio e Spagna hanno già provato a tenere la rotta senza... timoniere. E con risultati imprevedibilmente lusinghieri. In Belgio, il Pil crebbe addirittura il doppio (il percentuale) di quello italiano. Quindi, visto l’andazzo nostrano degli ultimi anni, che a Palazzo Chigi ci sia Gentiloni, Di Maio, Salvini o qualcun altro o che ci rimanga solo il portiere, forse non cambierebbe granché...
Edgardo Grillo
Capisco il suo pessimismo, caro amico, che so radicato in non pochi nostri concittadini. E capisco anche la tentazione di racchiuderlo nella battuta delusa e sferzante fiorita in bocca a sua madre, anziana e lucida: «A che serve, in Italia, un governo?». Ma faccia attenzione, perché questa affilata amarezza è a doppio taglio. La sfiducia verso chi sta “in alto” e, per mandato degli elettori, è tenuto ad amministrare la cosa pubblica si specchia sempre nella disistima verso chi sta “in basso”, ma ha il potere-dovere di designare i propri rappresentanti in Parlamento e di indicare i governanti che vorrebbe. Ne è prova una massima che ha diversi possibili padri, molti incomprensibilmente entusiasti estimatori e propagatori e, a mio parere, un’insopportabile carica di cinismo e di disprezzo: «Governare gli italiani non è difficile, è inutile». Non la condivido (e poco importa che sia di Benito Mussolini o di Giovanni Giolitti o di Winston Churchill... ). Per questo non condivido neppure la sua conclusione. Gli uomini e le donne al timone contano, prima di tutto per l’Italia e gli italiani (abbiamo scritto molto in proposito, e continueremo a farlo, sottolineando temi e azioni presenti nei programmi dei tre principali schieramenti: centrodestra, pentastellati e dem), ma almeno altrettanto per il contributo che l’Italia e gli italiani devono saper dare quantomeno nel gran cantiere d’Europa e sulla scena mediterranea. Nessuno può fare al nostro posto la nostra parte. Soprattutto in questa fase in cui si decideranno modi e tempi del rilancio dell’Europa e degli strumenti attraverso i quali, poco a poco, e anche contraddittoriamente, l’Unione continua a realizzarsi. E con speciale urgenza in un tempo cruciale in cui è necessario, per la causa della pace e del benessere comuni saper sviluppare con Stati e popoli delle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo relazioni improntate alla chiarezza, al rispetto reciproco e alla collaborazione su tutti i fronti, compreso quello della civile gestione dei flussi migratori. Tutto questo non si fa come per inerzia, caro amico, in un regime di minimo disbrigo degli affari correnti. Processi di questa rilevanza richiedono grandi dosi di quella che papa Francesco chiama Politica con la “P” maiuscola. Possiamo rassegnarci all’idea che essa sia solo compito di altri Governi e non anche del nostro? Ci pensi, e anche lei dirà che questo non può darsi. Ecco perché chi ha chiesto e ottenuto consenso dai cittadini deve impegnarsi per esercitare le proprie responsabilità di rappresentanza e di governo, e questo anche se manca una maggioranza omogenea. Resto, insomma, dell’opinione che ho espresso subito dopo il voto del 4 marzo: se non si dovessero realizzare le indispensabili convergenze politiche e programmatiche necessarie a dar vita a un esecutivo basato su una ragionevole alleanza tra distinti e distanti, bisognerà cercare di dare comunque vita a un “governo utile” incaricato di onorare impegni ben definiti e largamente condivisi. E se nulla di tutto ciò fosse possibile, non sarebbe affatto una bella notizia. Mi creda.