Opinioni

L'incontro possibile. I buoni «emendamenti» al Codice Ong

Marco Tarquinio sabato 12 agosto 2017

L’incontro tra umanità e legalità è ben possibile anche sulla non facile frontiera politica e morale del "governo" delle migrazioni forzate attraverso il Mediterraneo. Nelle ultime quarantotto ore ne sono state date due prove tempestive e utili proprio nel pieno dell’ennesimo (e assai stridente) concerto politico-mediatico teso ad affermare il contrario, con i soliti noti impegnati a distorcere ruolo e parole degli «umanitari» (operatori, sacerdoti, opinionisti, personalità politiche...) e capaci persino di strumentalizzare l’autorevole e caldo auspicio del cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, a realizzare quel necessario incontro tra vera umanità e giusta legalità per accogliere in modo degno i profughi salvati nelle acque mediterranee e per contrastare i cinici e spesso mortali traffici dei mercanti di esseri umani sulle rotte di terra e di mare dall’Africa e dall’Asia.

È importante che questi segnali siano arrivati e che vengano dal dicastero retto da Marco Minniti, il ministro dell’Interno che qualcuno avrebbe voluto rivestire della maschera di ferro del "legalista senza umanità" e al quale – anche da queste colonne, a partire dal pacato e lucido editoriale di Marco Impagliazzo dello scorso 4 agosto – era stato, invece, chiesto di lavorare per rinsaldare un civile patto di fiducia tra Istituzioni politiche e di sicurezza italiane, Organizzazioni non governative e realtà ecclesiali e civili poste al servizio di tutti i poveri, migranti compresi. Le risposte di Minniti, e del governo di cui fa parte, sono giunte e sono intelligenti e opportune.

La prima prova della volontà di far incontrare umanità e legalità – del quale abbiamo dato ampio conto su "Avvenire" di ieri, venerdì 11 agosto – è stata la decisione di sospendere, tramite una circolare del Viminale, le norme del decreto Minniti che, come alla Caritas ambrosiana avevano capito subito, rischiavano di trasformare del tutto impropriamente parroci e altri responsabili dei centri di accoglienza di richiedenti asilo in «ufficiali giudiziari».

La seconda, e corposa, prova è arrivata ieri con l’accoglimento delle ragionevoli e ben motivate richieste di correzioni al Codice di condotta che il Ministero dell’Interno italiano aveva proposto lo scorso 31 luglio alla firma delle Organizzazioni non governative impegnate nel soccorso di naufraghi nel Mediterraneo. Quattro "emendamenti" formalizzati e ratificati durante la firma del Codice da parte della Ong Sos Méditerranée.

I nostri lettori sanno bene di che cosa si tratta perché quei punti dolenti li abbiamo messi in evidenza a più riprese, e anche io personalmente ho speso più di una preoccupata considerazione su uno dei principali: la possibilità che «personale in armi» potesse chiedere di operare a bordo delle imbarcazioni di soccorso delle Ong. Nell’«addendum» al Codice di ieri si chiarisce che non è previsto il «portare armi», che non ci saranno «interferenze» di alcun tipo nella «missione umanitaria di salvare e proteggere vite» e che la Ong firmataria non è impegnata a «ricevere uomini armati», tranne nel caso di un «mandato rilasciato nell’ambito del diritto nazionale o internazionale» (dunque, per un’operazione di polizia mirata nei confronti di persone e situazioni dettagliate e specifiche). Era un chiarimento atteso e, ripeto, molto importante anche per ragioni che – come ho scritto l’8 agosto – vanno ben oltre lo scenario mediterraneo e portano a considerare intenzioni e azioni di Governi non esattamente democratici e spesso ostili nei confronti delle Ong.

È un passo avanti probabilmente utile alle valutazioni di altre benemerite organizzazioni umanitarie sinora non disposte a rendere "formale" nella forma del Codice (che non ha valore di legge e, dunque, non "svuota" norme di diritto internazionale e nazionale) il sereno coordinamento e la fattiva collaborazione che già ordinariamente vivono con le Autorità marittime italiane.

E altrettanto utile è il chiarimento sulla non limitazione del «trasbordo dei sopravvissuti » su navi più grandi, operazione che avviene sotto il coordinamento delle Autorità marittime italiane, per agevolare ulteriori operazioni di soccorso da parte delle agili imbarcazioni delle Ong. Insomma, una pagina di cronaca che, da cittadini italiani, si può scrivere con soddisfazione e anche sollievo. E che si può sperare faccia da prologo a una narrazione dello straordinario impegno contro la morte di innocenti nel nostro mare che rimetta le cose bene a posto, distinguendo i buoni, i soccorritori governativi e non governativi, dai cattivi, i trafficanti di esseri umani e i loro complici, che la cronaca già segnala e che non sono di certo gli uomini e le donne che spendono in mare e altrove la loro vita per salvare, curare e accompagnare uomini, donne e bambini che hanno lasciato e perduto tutto, ma non possono vedersi negata la loro dignità di persone.

PS Infine, annoto qui una notizia piccola e amara, che contribuisce a spiegare bene dove naviga il bene e dove galleggia il male nel Mediterraneo. La 'C-Star' ieri è andata in avarìa. Si tratta della «nave nera», che estremisti della destra «identitaria» hanno messo in mare contro le Ong e il cui equipaggio è 'motore' di molte denunce (anche solo mediatiche) contro di esse. Ebbene, le ha prontamente portato aiuto proprio la nave di una Ong, la 'Sea_Eye'. Ma la «nave nera» ha rifiutato ogni soccorso. I fatti nudi e crudi parlano sempre più di ogni chiacchiera cattiva e di ogni pregiudiziale ostilità.