Analisi. Il “fattore casa” e come Meloni ha dato la sua impronta politica al G7
Al netto dei temi principali - Ucraina e Medioriente - che i G7 hanno affrontato con toni e contenuti ampiamente prevedibili, sul resto dell’agenda deliberata a Borgo Egnazia si intravede, occorre essere oggettivi, l’impronta politica di Giorgia Meloni. Tradotta, evidentemente in modo efficace e scaltro, dalla sherpa Elisabetta Belloni. Sia sui “diritti civili” sia sulle migrazioni, la premier italiana ha fatto valere il “fattore casa”, intendendo mostrare agli altri leader il volto di un Paese e di un popolo, il nostro, dalle sensibilità quantomeno varie e articolate. Un Paese euroatlantico, certo, che vanta legami solidi con Washington e Londra, ma che non si tira indietro se occorre fare dei distinguo sul fronte culturale e politico. Anche la polemica innescata dalla Francia sull’assenza della parola “aborto” nel documento finale ha avvantaggiato Roma più che Parigi. Sia perché nella sostanza, riprendendo il documento di Hiroshima 2023, la presidenza italiana non propone ai partner “arretramenti”, sia perché, stringi stringi, le conclusioni senza il termine specifico “aborto” ricevono senza sconquassi il consenso dei leader.
Sulle migrazioni, invece, la posizione italiana ha goduto ancora una volta del sostegno intenso di Ursula von der Leyen, a riprova di un feeling tra le due leader che l’eurovoto non ha incrinato, e che pare un segnale in vista del probabile bis della politica tedesca al vertice della Commissione Ue. La soddisfazione della delegazione italiana per quel «diritto a non migrare» riconosciuto dai G7 - principio che senza risorse massicce è astratto e teorico, sia chiaro - è anch’essa il segno di un obiettivo che si considera centrato. Molto ha contato, certo, la posizione con cui la premier ha accolto i Grandi della terra: è l’unica leader dei grandi Paesi europei che non ha avuto scossoni dal voto per il Parlamento Ue.