Opinioni

Editoriale. L'esagerazione esclude: ditelo a chi ha organizzato l'apertura dei Giochi

Luciano Moia sabato 27 luglio 2024

Accanto alle gare sportive delle Olimpiadi di Parigi qualcuno l’altra sera, alla conclusione della sorprendente cerimonia di apertura, invocava l’organizzazione di un congresso di psicologia. Obiettivo quello di scoprire quale misteriosa combinazione si fosse determinata nella mente di chi ha immaginato la discussa messa in scena lungo la Senna e in altri luoghi simbolo della ville lumière, con un intreccio che, in modo benevolo, possiamo definire paradossale. Momenti di altissima creazione artistica – per esempio il cavallo futurista al galoppo lungo il fiume – mescolati a sgradevoli e volgari cadute di stile che hanno sortito l’effetto contrario a quello desiderato. Nessuno vuole lasciare intendere che, nel mettere a punto la loro rappresentazione, registi e scenografi siano incorsi in momenti di follia. Abbiamo troppo rispetto per chi davvero si confronta con la sofferenza psichica per azzardare paragoni inopportuni, ma certamente, dopo aver seguito le lunghe, stucchevoli e ripetitive esibizioni del plotone di danzatori “non binari” o presunti tali, sul pontile della Senna, migliaia di persone si sono sentite profondamente a disagio. Se l’obiettivo della serata era quello di mostrare, insieme alla grandeur della Francia, la sua capacità di accoglienza, tolleranza, inclusione, integrazione, il fallimento è stato totale. Anzi, peggio. Perché l’esagerazione, l’oltranzismo ossessivo, la cifra scontata del macchiettismo circense non servono affatto per integrare le diversità ma piuttosto per farne oggetto di caricatura e di nuova emarginazione.


Con il proposito di uniformare nel segno di un malinteso e ambiguo meticciato culturale tutte le categorie delle cosiddette “periferie esistenziali” i registi della cerimonia di apertura sono riusciti a rafforzare alcuni dei peggiori stereotipi di genere, proprio quelli da cui queste persone vorrebbero non solo prendere le distanze, ma dimenticarli per sempre. Ma chi l’ha raccontato ai grandi intellettuali d’Oltralpe che le persone lgbt si sentono rappresentate soltanto da paillettes, lustrini, sguardi ambigui, e movenze deliranti? Inventare e riproporre fino allo sfinimento – come è successo l’altra sera – un teatro dell’assurdo per sottolineare una presunta accoglienza della diversità significa confondere i piani, offendere chi vive la propria condizione con sofferenza o almeno in modo problematico e, alla fine, ottenere l’effetto opposto.

In questo confuso festival delle contraddizioni, ricchissimo di luci ed effetti speciali ma poverissimo di contenuti di qualche spessore, si è inserita poi la caricatura dell’Ultima Cena di Leonardo, con alcune variazioni grottesche, come uno strano Bacco al posto di Gesù e gli apostoli rappresentati come drag queen e maschere transex. Prodotto di un pensiero tanto debole da sembrare inesistente – e qui davvero la psicologia avrebbe molto da indagare – perché ancora più oscure sono apparse le finalità. Un tentativo di inserire anche la tradizione cristiana nelle diversità da accogliere sulla base di un neo-illuminismo improbabile e confuso? Una rilettura delle dinamiche relazionali degli apostoli secondo una banalizzazione delle logiche queer? Oppure solo la volontà di gettare qualche manciata di fango sulla fede di oltre un miliardo di persone – spettatori o meno della cerimonia di apertura – con una operazione di snobismo intellettuale di infimo profilo, peraltro in aperta contraddizione con le immagini del restauro di Notre Dame, quelle sì circonfuse di misticismo e di rispetto. Inutile tentare di rispondere. Se l’oltraggio all’Ultima Cena e all’alto simbolismo che racchiude, fosse avvenuto in un contesto di seria e motivata critica al pensiero cristiano, sarebbe il caso di allarmarsi e di rispondere con argomenti adeguati, ma in quell’assurdo carnevale di finte trasgressioni tutto è stata livellato ad altezza suolo. Peccato davvero, perché le questioni importantissime “citate” e poi triturate dall’assurda regia della cerimonia di apertura – compreso il problema della disabilità richiamato da una incolpevole e sempre eccezionale Bebe Vio – avrebbero meritato rappresentazioni meno urlate e sgangherate. Occasione persa. Adieu Paris.