Smartphone. L'Australia fa da apripista sui social vietati ai minori di 16 anni
Da qualche parte bisognava pur cominciare. Davanti alla marea montante di evidenze scientifiche di un più che probabile impatto negativo dei social media sulla salute mentale dei giovani una risposta concreta era necessaria. E l’Australia ha avuto il coraggio di fare il primo passo. Con la legge approvata il 28 novembre, da una maggioranza bipartisan, nel Paese i social media saranno vietati ai minori di 16 anni a partire dalla fine del 2025. Le piattaforme avranno l’onere di una seria verifica dell’età di chi accede, in caso contrario ci saranno multe nell’ordine dei 30 milioni di dollari.
È la regolamentazione più restrittiva che sia stata mai messa in campo e la sua realizzazione pone non pochi problemi tecnici, a partire dal metodo che si sceglierà per censire l’età degli utenti, con evidenti rischi di violazione della privacy. Ma aziende che stanno investendo miliardi per realizzare sistemi sempre più avanzati d’intelligenza artificiale potranno ben trovare una soluzione accettabile al problema. Se davvero la tutela dei minori sta loro a cuore, che lo dimostrino: investendo più risorse economiche e umane.
L’altra obiezione al provvedimento è il fatto che i divieti in realtà ci sono già (l’accesso ai social media sarebbe proibito ai minori di 13 anni, secondo quanto indicano le stesso piattaforme), ma sono puntualmente disattesi. S’invoca qui la responsabilità dei genitori di sorvegliare e accertarsi che i propri figli accedano ai servizi soltanto quando hanno l’età giusta. Verissimo. Il ruolo delle famiglie è e resta primario nell’educazione all’uso responsabile degli strumenti digitali. Ma queste non possono essere lasciate sole, di fronte a un ambiente che fino a oggi ha tollerato e considerato normale – nei fatti – l’utilizzo di servizi come TikTok, Instagram e Whatsapp a partire dai 10-11 anni. Qualche tempo fa un sondaggio tra genitori (promosso dall’Università Bocconi) aveva chiesto i motivi per cui fosse stato regalato uno smartphone all’età di 9-10 anni. La risposta largamente prevalente (88%) era stata: “perché ce l’hanno tutti”. E non averlo, non essere membri del gruppo Whatsapp della classe, significa l’esclusione sociale, l’isolamento, che è la paura più grande di qualsiasi adolescente.
Il provvedimento australiano avrà il potere di porre rimedio a tutto questo? Certamente no. È necessario un profondo cambiamento culturale, che riporti al centro il recupero di una gradualità nell’utilizzo di tali strumenti. I cambiamenti culturali partono anche da coraggiosi interventi legislativi che obblighino tutte le parti ad assumersi le proprie responsabilità. Finora le piattaforme social hanno puntato soprattutto sull’autoregolamentazione, assicurando di impegnarsi a fare il possibile per garantire la protezione dei minori. Non ha funzionato. Non sta funzionando.
Nel frattempo, cresce anche nel nostro Paese la consapevolezza degli utenti, con iniziative di genitori che si uniscono in Patti Digitali per aiutarsi reciprocamente nel rispetto di alcune semplici regole, tra cui il rispetto dell’età minima per accedere ai servizi, o di pedagogisti e psicologi che lanciano petizioni per vietare l’uso dello smartphone sotto i 14 anni e dei social sotto i 16. E anche nei ragazzi più grandi, tra i 20 e i 25 anni, si sta diffondendo un atteggiamento critico verso l’approccio troppo anticipato a questi strumenti. Se chiedete a un ventenne a che età consentirebbe l’accesso ai social ai propri figli, con tutta probabilità vi darà una risposta molto prudente, collocando l’età giusta non prima dei 14-15 anni (“Ho visto cose che non avrei voluto vedere e non posso in alcun modo cancellarle dalla mia mente”, ha condiviso online un teenager americano parlando della sua esperienza precoce sui social).
Il primo ministro australiano Anthony Albanese introducendo il dibattito sulla legge ne ha spiegato così le ragioni: «Si tratta di un problema globale e noi vogliamo che i giovani nel nostro Paese abbiano una vera infanzia. E vogliamo che i genitori recuperino la serenità». I nostri figli hanno il diritto che venga preservata la loro infanzia. Sta al mondo adulto provare a restituirgliela.