Il bastone di Trump e la priorità Venezuela. L'America prima e l'America ultima
Gli Usa sono tornati a passeggiare nell’ex 'cortile di casa'. Dopo averla ignorata nel primo anno e mezzo di mandato, dalla fine del 2018, l’Amministrazione Trump ha moltiplicato le sortite nell’altra America, a sud del Rio Bravo. L’attivismo perseguito su più fronti – dal Venezuela a Cuba, passando per il Messico e i Paesi centroamericani – non s’è tradotto in un progetto di ampio respiro.
Anzi, l’unico minimo comun denominatore della politica latinoamericana della Casa Bianca – e, più in generale, di quella globale – sembra la determinazione nello smontare pezzo dopo pezzo il complesso edificio diplomatico costruito dal predecessore. Per il resto, si procede a scossoni. Orientati, però, in base all’America first – intesa come Stati Uniti.
Come sottolinea un recente studio del Center for American Progress, sono gli affari interni a dettare l’agenda internazionale del presidente. Ed è l’approssimarsi della scadenza elettorale ora, più che la visione geopolitica, a rendere la regione 'rilevante' per Washington. In questa luce va compreso l’interesse per il dossier venezuelano. Caracas è tra le priorità, come conferma il profilo Twitter del consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton: almeno il 70 per cento dei messaggi si riferisce Maduro e soci.
Non solo. Gli Stati Uniti hanno portato ben quattro volte la questione al Consiglio di sicurezza Onu da gennaio. L’obiettivo è 'ricompattare le file' degli elettori intorno a un bersaglio già ampiamente screditato sul piano internazionale. Tanto più che colpire Caracas consente di far traballare anche Cuba, il vero nemico. Garantendosi le simpatie del milione di esuli dell’isola residenti in Florida – nonché dei 250mila venezuelani espatriati –, bastione da sempre conteso tra repubblicani e democratici. Al centro delle attenzioni presidenziali ci sono, poi, il Messico e l’America centrale.
Ovvero i luoghi di partenza e transito dei migranti in marcia verso il confine meridionale Usa. Dopo aver incassato un secco no al muro fisico – una barriera totale per blindare i 3.200 chilometri di frontiera –, Trump s’è dedicato a edificare un 'muro legale' per arrestare il flusso. Al fine di ottenere la collaborazione dei partner latinoamericani, la Casa Bianca non ha esitato a impiegare l’arma delle sanzioni.
In tal modo, gli Usa hanno modificato una regola non scritta che, negli ultimi decenni, aveva cercato di fare un utilizzo concertato delle restrizioni economiche e limitato agli Stati che minacciassero la pace e la stabilità mondiali. Il leader repubblicano ha, prima, agitato lo spettro dell’incremento dei dazi sull’export nei confronti del Messico per indurlo a un giro di vite anti-migranti. Dopo settimane di braccio di ferro, a giugno, il presidente Andrés Manuel López Obrador – che aveva fatto di una politica umana verso i centroamericani in transito uno dei suoi cavalli di battaglia – ha dovuto cambiare drasticamente registro. Solo a giugno sono stati fermati in territorio messicano quasi 30mila migranti, quasi il quadruplo rispetto a gennaio.
Al contempo, sono diminuiti gli arrivi alla frontiera Usa. Dato il 'successo', la Casa Bianca ha ripetuto la strategia nei confronti del Guatemala, il quale – per evitare l’incremento delle tasse sulle rimesse e l’export – ha accettato in tutta fretta lo status di 'Paese terzo sicuro'. Gli Stati Uniti potranno dunque spedirvi i richiedenti asilo salvadoregni e honduregni che ne abbiano attraversato il territorio. Quasi tutti, cioè, per la posizione strategica della nazione nel viaggio verso Nord. Il Guatemala rischia di diventare il nuovo hub per i centroamericani: un paradosso, dato che la povertà feroce ne fa tuttora una delle principali terre d’esodo del Continente.
Non sono mancate poi le frecciate alla Colombia, accusata di aver fatto poco o nulla per eliminare le coltivazioni di coca nonostante l’accordo di pace. In pratica, forse, solo il Brasile di Jair Bolsonaro è scampato all’impeto latinoamericano di Trump. Per 'affinità ideologiche' fra i due leader, probabilmente. Almeno fin quando le simpatie non toccano il business. Quando Bolsonaro ha chiesto concessioni commerciali agli Usa ha ottenuto tante promesse. Rimaste tali.