L’ambiente è politico. Nodo sempre più stretto e urgente
Se c’è un tema che, negli ultimi tempi, è sparito dal radar della politica è l’attenzione all’ambiente nella sua accezione più ampia, dai macro-cambiamenti climatici alla cura dei territori. Al netto delle dichiarazioni retoriche, la classe politica italiana non sembra affrontare la situazione di un Paese tanto incantevole dal punto di vista paesaggistico quanto fragile con la lungimiranza e l’impegno che la portata della questione richiederebbe.
In queste ore si contano tragicamente le vittime e i danni che la Sardegna ha subito in conseguenza della improvvisa “bomba d’acqua” abbattutasi l’altra notte. Un genere di evento diventato sempre più frequente negli ultimi anni, in conseguenza di quella progressiva “tropicalizzazione del clima” di cui da tempo parlano gli esperti.
Il problema non è solo italiano, beninteso. Gli Stati Uniti, tra i maggiori responsabili dell’inquinamento a livello mondiale, nel giugno 2017 annunciarono la loro intenzione di ritirarsi dagli accordi di Parigi. E l’amministrazione Trump sta dando il cattivo esempio a livello internazionale facendo marcia indietro su tanti provvedimenti “verdi” avviati negli scorsi anni. Non a caso gli “uomini forti” emergenti, tra cui il probabile vincitore delle presidenziali brasiliane, Bolsonaro, si esprimono sprezzantemente contro le politiche ambientaliste.
Ora, il paradosso è proprio questo: mentre la comunità scientifica (nella sua quasi totalità concorde nell’addossare all’attività umana l’aumento di anidride carbonica e il conseguente aumento della temperatura media) preme sull’opinione pubblica per un cambio di modello di sviluppo e degli stili di vita con l’introduzione di legislazioni più stringenti, la coscienza collettiva non ha ancora metabolizzato fino in fondo la gravità della situazione globale. Con il risultato che la politica procede a passo di lumaca quanto a interventi seri per arginare le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Nell’aprile 2015 Krista Langlois, una giornalista americana, scriveva sulla rivista Slate: «Un sondaggio sull’ambiente fatto da Gallup ha rivelato come gli americani sono oggi meno preoccupati dalle tematiche ambientali di quanto non lo siano mai stati negli ultimi vent’anni. Questo ottimismo persiste nonostante alcune rilevanti notizie che, nell’ultimo anno, avrebbero dovuto farli riflettere: la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è oggi di 400 parti per milione, un valore mai raggiunto prima».
Sappiamo, ormai, cosa andrebbe fatto e cosa andrebbe evitato per avere un mondo che non corra verso il baratro del disastro ambientale, con milioni di persone, per esempio, costrette a lasciare le proprie case a causa dell’innalzamento dei mari o la desertificazione dei campi. Ma pochi osano cambiare marcia, re-interpretare i concetti di “progresso” e “benessere” in chiave climatica, sobbarcandosi anche i costi di scelte più rispettose del Creato. Tutti aspettiamo che altri facciano il primo passo. Una situazione che Voltaire avrebbe descritto così: «Nessun fiocco di neve si sente mai responsabile in una valanga».
Ma, mentre Paesi come gli Stati Uniti sono abituati da tempo a convivere con uragani e cicloni, in altre parti del mondo i cambiamenti climatici si riverberano con effetti letteralmente devastanti, in presenza di insediamenti umani assai meno strutturati di quelli nei Paesi economicamente avanzati. Perciò papa Francesco, nella Laudato si’, interpella tutti, senza giri di parole: «L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano».
È il momento, dunque, che la politica torni a rimettere al centro la questione ambientale, come una priorità che determina scelte di fondo e governa l’idea stessa di sviluppo del Paese.
Per quanto concerne l’Italia, a livello locale c’è da metter mano, pazientemente, a una manutenzione ordinaria e straordinaria di quel bellissimo territorio in cui abbiamo la fortuna di abitare. E a livello globale orientare verso scelte energetiche e di consumo che sia in linea con gli obiettivi della Cop 21 di Parigi. Certo, i governanti devono mettere in conto che questo genere di interventi (dalla messa fuori legge di certe auto alla pulizia dei fiumi) “rendono” meno, sotto il profilo mediatico, o possono addirittura essere impopolari.
Ma qui sta il nodo. «Un politico guarda alle prossime elezioni, mentre uno statista pensa alla prossima generazione», diceva De Gasperi. Il tempo dirà e giudicherà quale strada sta prendendo (o perdendo) chi ci governa e, di conseguenza, quale Paese verrà consegnato ai nostri figli. E il tempo stringe.