Opinioni

Dopo il voto legislativo. La sorpresa delle urne dell'altra Francia. Quella invisibile

Daniele Zappalà martedì 9 luglio 2024

Perché i sondaggisti e politologi francesi si sono sbagliati di grosso, prevedendo il successo dell’ultradestra lepenista alle Legislative? Oppure, in altri termini: perché quasi nessuno immaginava un successo della sinistra? In queste ore, la riflessione ricorda molto quella dei tempi in cui i rilevamenti sottostimavano regolarmente i risultati dell’ultradestra, sempre più alti di quanto s’immaginasse alla vigilia. Da allora, è stata tratta una conclusione: fra i simpatizzanti dei lepenisti c’è una “Francia invisibile” tanto periferica, geograficamente e socialmente, da risultare difficilmente sondabile. In particolare, la Francia delle campagne e delle vaste aree minate dalla desertificazione industriale, soprattutto nell’estremo Nord e Nord-Est, da Calais a Strasburgo. Sul piano delle percezioni, la Francia che ha più paura della globalizzazione e dell’immigrazione.

Anche nell’ultimo scrutinio, questa Francia ha sospinto i candidati Rn, 39 dei quali sono stati eletti già primo turno, contro appena due fra i macroniani. Ma poi, nell’interludio verso i ballottaggi segnato dalle prevedibili manovre anti-Rn dei partiti di governo, è accaduto pure qualcosa d’imprevisto: ben più che in passato, si è attivata un’altra “Francia invisibile”. Quella, in genere molto astensionista, che più si è sentita nel mirino dell’approccio xenofobo di Rn.

Nelle ultime ore, in proposito, colpisce la valanga di testimonianze di gente comune, raccolte dai media, sul «grande sollievo» provato circa una misura precisa capace di generare rabbia: la volontà dei lepenisti di escludere d’ufficio i “binazionali” dai posti «strategici» in campi come difesa, sicurezza o diplomazia.

Proprio il contrario della “promessa repubblicana” meritocratica che è un collante tradizionale della società transalpina, riassumibile così: studiando con impegno e facendo del proprio meglio, si troverà prima o poi posto sul cosiddetto “ascensore sociale”, che può portare dovunque. In tanti quartieri sfavoriti, quella misura arbitraria è risuonata come un rivelatore delle contraddizioni dei lepenisti, così pronti a dirsi a parole “dalla parte del popolo”.

Una misura che stona, in parallelo, con quanto i media mostrano da anni: a portare in alto la bandiera francese, sui campi sportivi o nelle sale di spettacolo, sono spesso proprio dei binazionali ben fieri di esserlo: si pensi, storicamente, a un campione e poi musicista come il tennista Yannick Noah, franco-camerunense, per tanti anni eletto come «il francese preferito dai francesi». O ancora a un’artista come la franco-maliana Aya Nakamura, ormai la cantante francese più ascoltata nel mondo.

Fra i due turni, sono state pure le personalità dello sport e dello spettacolo – a cominciare dalla stella calcistica Kylian Mbappé e dai suoi compagni della Nazionale – ad additare le discriminazioni promosse da Rn, proprio nel Paese del motto Liberté, égalité, fraternité. Appelli martellati, in parallelo, da sindacati, associazioni anche cristiane, educatori, centri culturali.

Più che mai, dunque, un’altra “Francia invisibile” mossa interiormente da sentimenti forti è entrata nel gioco elettorale: un surplus di suffragi andato spesso alla coalizione più energicamente opposta all’ultradestra, ovvero la sinistra del Nouveau front populaire. Nel quadro di tanti ballottaggi locali in bilico, quest’ingresso imprevisto in campo di ex invisibili ha fatto la differenza. Alla fine, le ferite più intime dei dimenticati, forse come mai prima, hanno suscitato una svolta politica definita da più parti come «storica».
Nella Francia politicamente sottosopra in cerca di una maggioranza di governo, l’andamento a sorpresa dello scrutinio è così riassunto pure dal titolo di un saggio di Camus: L’Uomo in rivolta. Un fattore che allarga ancor più il ventaglio dei possibili seguiti, nel bene e nel male, durante i prossimi mesi di probabile instabilità in Francia. Ma pure un segnale transalpino giunto dal basso che l’Europa non può permettersi d’ignorare.