Opinioni

Lo strazio di Kabul. L'Afghanistan che arriva e l'azzurro che già c'era

Giovanni D’Alessandro martedì 24 agosto 2021

Noi credevamo... e invece no. Noi credevamo che i bambini affidati da mani pietose a mani pietose, sopra una barriera o sopra un filo spinato, appartenessero ai film sul rastrellamento del ghetto di Roma o sulla irruzione nelle case della polizia sovietica, al tempo delle purghe; all’ultimo gesto di messa in salvezza dei figli, tentato quasi alla cieca da straziati genitori, affidandoli ai vicini prima di essere risucchiati nell’orrore; ma abbiamo rivisto le stesse scene nella realtà afghana di oggi e abbiamo pensato che la condizione umana si conferma fragile, a continuo rischio di baratro. Abbiamo visto all’aeroporto di Kabul i ragazzi volare giù dalla pancia di un aereo a cui erano rimasti attaccati anche quando cominciava a rollare sulla pista per sollevarsi, sicché era chiaro che non li avrebbe imbarcati e abbiamo pensato che lo capivano, ma preferivano morire. Non abbiamo visto scene da altri aeroporti, perché in Afghanistan per voli internazionali c’è solo quello, ora militarizzato, di Kabul, e abbiamo pensato a tutti quegli afghani che in altre città non hanno neanche un aeroporto dove correre alla disperata e si sono rintanati in casa come animali terrorizzati, in attesa di quello che sarà, senza più forze per fare alcunché.

E poi, per un attimo, abbiamo abbandonato questi tristi pensieri perché a distoglierci da essi c’era qualcosa che riguarda noi: stava per arrivare proprio qui, nel cuore dell’Abruzzo montano, a Roccaraso, il pullman coi primi afghani appena sbarcati in Italia. Allora abbiamo istintivamente guardato in direzione della circonvallazione di questa città, Sulmona, dato che per forza il pullman sarebbe dovuto passare di là, una volta uscito dal casello autostradale provenendo da Roma, per salire di notte a Roccaraso, a pochi chilometri dalla città di Ovidio, ma mille metri più in alto E abbiamo cominciato a immaginare quando saliremo anche noi lassù, a incontrare i profughi. Nella mente abbiamo già cominciato a parlare con loro.

Benvenuti – abbiamo detto – voi scampati all’orrore di questo tempo e di ogni tempo. Benvenuti voi bisognosi, più fortunati di altri, perché duemila anni fa, prima di consegnarsi al proprio personale ultimo orrore, un Maestro insegnò: «I poveri li avrete sempre con voi», e voi ne siete solo uno degl’infiniti volti nel corso della storia.

Ma volevamo pensare anche a parole meno grandi, che vi facessero trovare un pezzetto della vostra terra qui. E non era facile. Da lettori e scrittori, abbiamo cominciato a ripercorrere i libri, a voi dedicati, che abbiamo amato: Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, dicendovi: vedete quanto vento per gli aquiloni c’è qui? Siete alla stessa altezza media – 1.000 metri – del vostro Afghanistan, ma in mezzo a valli e vallette non brulle, tutte verdi, incastonate come smeraldi nella corona delle montagne; non sono bellissime le vostre nuove valli e montagne? Poi, un po’ spinti dagli smeraldi, un po’ dagli splendidi soli d’Abruzzo in questo cielo sempre terso, ci siamo ricordati di una parola afghana (o forse iranica o araba) che tutti usiamo, "l’az’wurd" per indicare l’azzurro – il colore sopra di noi di un comune infinito che non conosce barriere, fili spinati, mura e confini. E questo ci ha suggerito l’ultimo pensiero ch’è proprio tutto afghano: quello del "l’az’wurd", o "lazulum" o "lapis az’wurd", il lapislazzulo, di cui l’Afghanistan è patria mondiale.

Così abbiamo pensato a quando diremo: sapete che questa vostra pietra-gioiello, da ridurre in polvere per ricavarne il colore az’wurd/azzurro, era tanta costosa che solo Michelangelo l’ha usata a profusione nella Cappella Sistina per dipingere il cielo del Giudizio? Dalla vostra patria il lapislazzulo giungeva lungo antichissime vie carovaniere in Europa, in Italia e a Roma. Ma una minima quantità, pur non avendo l’Abruzzo pittori importanti come Michelangelo, arrivava anche qui. Nelle nostre chiese ci sono cicli di affreschi di cinque, sei secoli fa, dove l’azzurro, con parsimonia usato, viene dal vostro lapislazzulo. Questi affreschi si trovano anche nella diocesi di Sulmona-Valva cui appartiene Roccaraso; voi non lo sapete, ma è una delle diocesi più antiche della Cristianità, che solo gli Appennini, da voi attraversati nella notte in pullman, separano dalla tomba di Pietro. Un giorno vi porterò a vedere i nostri affreschi col vostro lapislazzulo. Era già qui un po’ di Afghanistan, secoli prima di voi.