Dio si sacrifica, non vuole sacrifici. L’abissale differenza
È un onore essere ammessi in quella sala. Il sacramento, proprio questo fa: ci introduce realmente in quella sala, ci rende partecipi dell’intimità di Gesù con i discepoli, fa risuonare per noi le stesse parole e distribuisce fra noi lo stesso pane e lo stesso vino. Il mistero del suo corpo dato e del suo sangue versato si fa ospitale per noi: e noi siamo coinvolti in esso fino alle profondità più intime del nostro essere.
Ci avevano detto che la religione è quando gli uomini sono sacrificati a Dio. In quella sala apprendiamo che Dio si sacrifica per gli uomini. E non erano parole. In capo a una sera e a una mattina, succederà davvero.
Tutta la violenza e l’avvilimento del mondo verranno attirati sul Crocifisso e inghiottiti nel suo sepolcro. Il sangue della violenza inflitta all’essere umano, persino in nome di Dio, non sarà mai più benedetto. Il sangue liberamente versato per risparmiarlo sarà benedetto per sempre. Una differenza abissale e senza equivoci viene stabilita qui, in eterno e per tutta la storia, fra il sacrificio del dono di sé e il risparmio dell’altro uomo.
Il segno di questa differenza, che ci redime, va intimamente condiviso, non spavaldamente esibito: va iscritto nella tenerezza di un incontro conviviale, nell’umiltà della lavanda dei piedi, nel composto struggimento di un amore di amicizia e di fraternità che viene messo alla prova. Un amore che, nello stesso tempo – e accada quel che accada – viene reso certo di saper resistere anche alla morte.
È una tremenda responsabilità essere ammessi in quella sala. L’Eucaristia cristiana non è un rinfresco. Le sta addosso tutto il male del mondo. Eppure, essa non perde il ritmo, sopporta le incertezze del futuro, l’inquietudine del sospetto, la paura dell’abbandono, i rimbalzi di un cuore capace di slanci e, al tempo stesso, dubbioso della sua capacità di reggere alla prova. La testimonianza di prima mano delle parole del Signore, le stesse che ascoltiamo anche noi, è il nostro roccioso sostegno. L’Eucaristia sopporta assai più di quello che noi – giustamente – temiamo di non saper portare. I discepoli scoprirono che i loro timori non erano infondati. Non erano rocce, quando furono ammessi in quella sala. Nondimeno, il Signore risorto non nutrirà alcun risentimento per la loro debolezza: ogni volta che essa viene riconosciuta, può davvero trovare in sé stessa una fede che sposta le montagne.
In questo momento di comune vulnerabilità e debolezza, noi possiamo ancora più realisticamente immedesimarci con la condizione in cui i discepoli sono ammessi in quella sala. Fra di noi c’è qualcuno che ancora lo tradirà. Noi stessi siamo mortificati dai nostri timori di perdere l’aura dell’ammirata presenza del Signore che si riverbera su di noi. Siamo innervositi da presenze rarefatte della condivisione e intimità mortificate dalla separazione, sconsolati di non poter liberare le emozioni del nostro ritrovarci insieme pieni di energie.
È il momento di ricordare l’onore che ci viene fatto, ancora una volta, quando viene il Giovedì dell’Ultima Cena e siamo ammessi in quella sala. Ci ricorderemo che l’aura di Gesù ha la sua vera radice nella consolazione della misericordia di Dio che risuscitava i bambini, consolava le madri, restituiva dignità a quelli che non avevano niente e a quelli che non erano di nessuno. E lo faceva in nome di Dio, ostinato fino alla morte del Figlio nella volontà di risparmiare tutto il sangue possibile degli uomini. Che altro deve fare per darci il coraggio di aprire quella porta e di entrare – proprio oggi – in questo mistero di tenerezza e di gioia? Cerchiamo di non sprecare niente, per favore, proprio oggi. Non una parola, non un silenzio, non una musica, non un gesto. Ogni tratto abbia la compostezza commossa e l’emozione intensa di una presenza grata, che ci riavvicina al Signore fino al punto da poterlo ascoltare e toccare nel momento in cui tutta la storia della sua vita diventa la roccia e l’aura della nostra. E noi siamo restituiti gli uni agli altri con una intensità che ci sembrava impossibile. Nessuna mascherina può oscurare questa luce degli occhi. E nessuna distanza può indebolire questa prossimità.