Ius culturae, legge attesa e giusta che dice del ruolo dell'Italia
Gentile direttore,
in Inghilterra bruciano in una notte centinaia di famiglie dentro un grattacielo. Sono famiglie spesso giovani, di immigrati. Redditi bassi, un palazzo popolare con poca manutenzione a fronte delle tante chiamate. Oggi la rabbia dei sopravvissuti: la signora May non li ha incontrati, li ha visti da lontano. Immagino un atteggiamento diverso se a fuoco fosse andato un ricco grattacielo del centro. In Italia si (ri)parla di Ius soli, previsto in versione temperata da una legge che è a metà del suo cammino parlamentare. Se ne (ri)parla e se ne straparla. La legge morale dentro di noi grida che chi nasce e studia in un Paese ne prenda ovviamente la nazionalità, genitori permettendo. Di nuovo la destra insorge: i poveri, gli immigrati, non si devono mischiare con noi, abbassano il nostro livello sociale, sono pericolosi. In Inghilterra sono morti bruciati anche due giovani italiani immigrati là ed emarginati. Anche là l’integrazione è lontana. Il Papa parla di ponti tra culture e genti. Iniziamo dall’amare noi stessi. Da lì poi, capito il senso dell’amore, non faremo più distinzioni. Chi urla e divide qui come in Inghilterra è povero, non di censo ma di animo. La peggiore forma di povertà da cui discendono tutte le altre.
Gianni Ciaccio
Caro direttore,
è giusto che Parlamento e Governo riconoscano lo status di cittadino ai minori, circa un milione, figli di immigrati regolari, che hanno frequentato le nostre scuole, venuti alla luce sotto il nostro tricolore, o giunti in tenera età, che parlano la nostra stessa lingua. La risposta che dobbiamo loro è il principio di cittadinanza, per dare loro diritti, doveri e responsabilità, per far sì che non si alzino barriere autolesioniste e non si trascenda verso una demagogia che danneggi anche la nostra stessa immagine. Parliamo di amici dei nostri figli, che già sono figli di questo Paese e come tali vanno trattati. Sarebbe giusto accelerare le procedure, perché diventa italiani solo chi è nato qui da genitori in regola da anni oppure ha compiuto un ciclo di studi. Checché se ne dica, la legge all’esame del Parlamento non prevede la concessione della cittadinanza in modo indiscriminato, tale da incentivare "a partorire nel nostro Paese". Più che di ius soli, chi è ben informato lo sa, si tratta di ius culturae o di ius soli temperato.
Rino Basili
Gentile direttore,
ma cos’è questo "famigerato" ius soli. È quel diritto di cittadinanza che in moltissimi Paesi del mondo viene concesso automaticamente: ad esempio negli Usa un bambino acquisisce la cittadinanza americana fin dalla nascita, indipendentemente dalla provenienza dei genitori. In Italia, invece, per gli stranieri la strada è molto più lunga e impervia. Infatti, a tutt’oggi, il requisito minimo è avere 18 anni! Con la Legge in discussione alle Camere, per me sacrosanta e civile, si vuole finalmente agevolare questo percorso e renderlo più coerente. Per sommi capi i nuovi criteri sono i seguenti: i genitori devono risiedere in Italia da almeno 5 anni, avere un reddito minimo, disporre di un alloggio idoneo, conoscere la lingua italiana. Inoltre il fanciullo deve frequentare la scuola italiana per almeno 5 anni. Ora diversi partiti, tra cui 5 Stelle, leghisti e altre destre estremiste e no fanno opposizione al limite dell’ostruzione contro questo disegno di legge… E io mi chiedo se il loro dissenso sia dettato da deprecabile ma schietto razzismo o dalla volontà ostinata di dissentire sempre e comunque dalle scelte altrui, della serie "votiamo no perché l’ha detto il Pd". Non so quale sia la risposta peggiore…
Stefano Mantini
Caro direttore,
ho ancora nel mio cuore le parole del cardinale Erailio Tonini, sull’immigrazione, era il 1995 nella Chiesa di Roccafranca: «Voglio raccontarvi l’emozione che ogni mattina provo vedendo per le vie del centro storico gruppetti di bambini con i loro zainetti pieni di cultura con sguardo fiero avviarsi verso la "casa della scuola". Ecco: tutte le volte mi giro e guardo con nostalgia i bambini che attendono di entrare e, ve lo confido, tutte le volte mi viene un magone buono. Mentre li osservo noto che i visini "stranieri" sono tanti, e penso che quello è il nostro futuro, che tutta quella "differenza" che si ritrova in una stessa scuola è il simbolo dell’integrazione». Vede direttore, oggi io faccio lo stesso. Vado e mi soffermo in particolare davanti a una scuola di Brescia dove negli anni scorsi studiarono molti miei concittadini di origine meridionale e che ora ha la più alta densità di allievi nati da genitori extracomunitari. Una scuola che da sempre ha accolto le grandi ondate migratorie: ora di 16 nazionalità differenti. Una vera Babele? No, una scuola che insegna qualcosa di decisivo a tutti coloro che temono la diversità e il confronto, perché è un modello di integrazione vera, dove i bambini si sentono italiani, con regole uguali per tutti, disciplinatissimi nei loro grembiulini senza più fiocco, ma con un senso molto alto del rispetto e dell’educazione. Bambini che hanno aspirazioni, tanta voglia di apprendere, forza, determinazione, assorbono tutto con avidità e vogliono che l’Italia sia la loro Patria. Si mescolano, giocano e imparano nel confronto, sognano di fare, l’avvocato, il calciatore, l’attrice, la parrucchiera, la maestra... Alla domanda cosa è l’Italia rispondono: pace, bandiera, Brescia, stivale e casa! Peccato che questa bella favola vera, scritta con fatica e impegno da maestre di frontiera, cozzi contro l’attuale politica. «Il Santo Padre – ci ha detto il nostro vescovo Luciano Monari – ha pronunciato parole forti, radicali e inequivocabili sul rispetto dei diritti "inalienabili" dei migranti, da rispettare "sempre e da tutti". Ha parlato in particolare dei minori, del loro diritto alla scuola e all’inserimento nel mondo del lavoro. Di un’integrazione sociale che va "facilitata" e non certo ostacolata per le cosiddette seconde generazioni. Ha parlato di Gesù "migrante" e del Vangelo della solidarietà. Difficilmente chi vuol dirsi cristiano potrà più ignorare queste parole». Auspico anch’io che chi nasce regolarmente sul nostro territorio e qui studia abbia riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana (ed europea).
Celso Vassalini, cittadino europeo
Gentile direttore,
si sta discutendo, e forse approvando, la legge che attribuirà la cittadinanza italiana in base allo ius soli anziché allo ius sanguinis come è stato dalla nascita della Repubblica italiana. Al di là dell’essere favorevole o contrario, chiedo agli opinionisti autorevoli se ritengono da Paese "normale" che una legge di tale portata culturale debba essere varata dal terzo Governo successivo non eletto dagli italiani. Aspettare qualche mese le prossime elezioni sarebbe così incivile?
Roberto Bellia
Sono molto belle le lettere che stanno arrivando in redazione a proposito della legge in discussione in Parlamento per finalmente riconoscere, senza più tortuosità e lungaggini mortificanti, la cittadinanza italiana (che di fatto già vivono) ai ragazzi e alle ragazze che qui sono nati e nate da genitori qui regolarmente autorizzati a risiedere (e che qui non hanno commesso reati), che qui lavorano e pagano le tasse contribuendo al benessere collettivo. Oppure a quei ragazzi e ragazze che si trovano nelle stesse condizioni ma non sono nati e nate qui, ma qui studiano da almeno cinque anni. Si chiama ius soli temperato e ius culturae. I nostri lettori lo sanno perché chiediamo da anni di risolvere per questa via di giustizia e di sensatezza una questione che non solo è un problema per i "non-più-stranieri" e per i loro figli "mai-stati-stranieri", ma per tutti gli italiani. Perché c’è una generazione di figli della nostra terra e della nostra cultura italiana che non sono trattati ancora pienamente da figli. E perché c’è un investimento grande in educazione e formazione e un giacimento di energie buone che continuiamo a sottovalutare e persino a disprezzare. Sono grato ai lettori, che dimostrano di averlo chiaro. Anche perché ci confermano, così, che quel nostro lungo impegno informativo è stato utile.
Continuo a sperare che sia una informazione infine utile anche per quei politici che, soprattutto da posizioni di destra, stanno dicendo "no" gridati e anche violenti contro il testo di legge già votato alla Camera e ora all’esame del Senato. Penso che chiunque si dica (magari in diverso modo) "nazionalista" o "sovranista" dovrebbe capire che una cittadinanza inclusiva è strumento chiave per preservare e accrescere le fortune d’Italia. Le persone sono la vera ricchezza di un Paese. E chi vuole davvero bene a questo nostro Paese, che purtroppo sembra non riuscire ad amare come sarebbe giusto nessuno dei suoi figli, chi ha un concetto di patria serio non può affrontare il tema della con-cittadinanza con slogan odiosi.
Lo so, tanti sostengono che "fare i cattivi paga", noi no. Io, poi, sono certo che alla lunga, ma anche alla breve, il cattivismo non paghi in nessun senso. E penso che sia necessario dire alto e forte che chi lavora per approfondire una linea di faglia dentro la nostra società, opponendo italiani di tradizione e di adozione, fa un grande male. Quanto di peggio la politica possa fare. Tanto più per un Paese come il nostro, una nazione-ponte con una naturale vocazione a esercitare una leadership culturale ed economica mediterranea e in virtù della sua tradizione, vivificata dal cristianesimo, a esercitare un influsso morale alto, generatore di dialogo e di pace. Dipende solo da noi rinunciare o no a questo ruolo. Sarebbe triste e terribile se gettassimo la spugna, proiettando un’immagine impaurita, ostile e repulsiva dell’Italia e degli italiani. Il Paese che amo e che amiamo tutti è molto diverso e migliore. Anche questa giusta legge può confermarlo, e si deve saperlo fare adesso. Si è atteso troppo.
P.S. Al signor Bellia vorrei ricordare che l’attuale Parlamento è stato legittimamente formato (lo ha attestato anche la Consulta) dagli elettori italiani. Ed è il Parlamento che, per la democratica Costituzione vigente, dà la fiducia ai Governi. Tutto il resto sono interpretazioni e polemiche, non fatti.