Si celebra in questi giorni la settimana della lingua italiana nel mondo. Enrico Letta è appena tornato dagli Stati Uniti, un paese dove l’incremento degli studenti di lingua italiana è quest’anno del 20%. Gli italiani possono essere orgogliosi di una cultura capace di suscitare simpatia, legami, di vivere un respiro internazionale: l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Scuole Dante Alighieri, Istituti italiani di Cultura, scuole italiane paritarie, Università per stranieri, comunità di italofoni contribuiscono alla fama dell’italiano all’estero. Ogni anno questo sistema complesso si rivolge ad almeno 700mila studenti stranieri, a cui sommare gli studenti raggiunti attraverso accordi di cooperazione culturale che garantiscono l’offerta dell’italiano all’interno dei sistemi scolastici locali. La nostra lingua è un patrimonio che ci fa uscire dalla perifericità e dal provincialismo verso cui tante volte il paese sembra indirizzarsi. C’è un mondo più grande intorno a noi e l’italiano ce ne mostra le strade. L’Italia è l’italiano. Siamo un paese con enormi differenze interne, tentato dal campanilismo, dal regionalismo, eccetera. È l’italiano ad averci uniti, ben prima che l’Italia non fosse solo un’espressione geografica. Le classi colte parlavano italiano quando ancora il popolo non era in grado di capirsi reciprocamente. E Foscolo, nei
Sepolcri, e Manzoni, con la risciacquatura in Arno dei
Promessi Sposi, avevano ben presente che a tenerci insieme era un collante tanto fluido e insieme tanto resistente, quel dialetto di una piccola regione della penisola divenuto nel tempo capace di esprimere una cultura altissima, capace di attingere i vertici dell’orizzonte dell’umanesimo di tutti i tempi e a ogni latitudine.Forse si tratta di imparare a essere degni di una tale eredità, nonché di un tale presente. Ma c’è un aspetto che non sempre viene evidenziato quando si parla della diffusione della lingua italiana nel mondo. È il ruolo della Chiesa cattolica. Ha scritto il linguista Tullio De Mauro: «Se fino al Concilio Vaticano II il latino è restato lingua della liturgia e dell’ufficialità della Chiesa di Roma, la sua vera lingua di lavoro, quella che per istituzioni diverse diremmo la
langue de guerre, cui sono stati tratti e attratti chierici di tutto il mondo, è stata e pare restare ancora l’italiano».Un esempio evidente lo si ha nelle Università pontificie a Roma che attraggono un cospicuo numero di studenti di varie nazionalità, vero punto di incontro di diverse lingue e culture. La Santa Sede nella sua "politica linguistica" privilegia l’italiano come lingua di insegnamento agli studenti provenienti da tutte le parti del globo. Poi c’è la presenza di tanti missionari italiani nel mondo che, oltre al lavoro pastorale e sociale svolto, sono un veicolo di trasmissione della lingua. Insomma, l’italiano è lingua decisiva nella Chiesa cattolica, che è di fatto l’unica istituzione internazionale in cui l’italiano ha un ruolo di tale portata.L’elezione nel 1978 del primo papa non italiano dal 1523, Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, nel 2005 quella di un papa di origine tedesca, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e ora di Jorge M. Bergoglio-Francesco, argentino, hanno paradossalmente confermato la scelta dell’italiano nella Chiesa. Tali scelte non hanno portato a un divorzio tra Chiesa e italiano. Papa Wojtyla ha usato la lingua italiana nei momenti di massima attenzione pubblica, come la sua prima apparizione da papa a pochi minuti dall’elezione («Non so se potrò spiegarmi bene nella vostra… nella nostra lingua italiana. Se mi sbaglio… Se mi sbaglio mi corrigerete») o in tante altre occasioni come le celebrazioni del Giubileo del 2000 alla presenza di milioni di persone, tra cui moltissimi non italiani. Il cardinale Ratzinger tenne in italiano l’omelia per il funerale di Giovanni Paolo II davanti al mondo intero. In occasione di interventi pontifici fuori dal nostro Paese, l’italiano è stato spesso usato da Benedetto XVI come "lingua neutrale" della Chiesa. Papa Francesco fa largo uso della nostra lingua. Giovanni Paolo II fu addirittura nominato dalla Farnesina «ambasciatore della lingua italiana nel mondo», così ricordato anche in una cartolina postale celebrativa. Dunque i papi non italiani sono in un certo senso "promotori" dell’italiano nel mondo. Anche questo arricchisce l’italofonia.