Migrazioni. Italia-Libia e migranti: ancora manca la discontinuità umanitaria
La maxi-inchiesta della corte penale dell’Aja sulle violenze e i maltrattamenti inflitti in Libia a profughi e migranti, nei centri di detenzione ufficiali come in quelli non ufficiali, rivelata nei giorni scorsi da questo giornale e ora ripresa da altre testate straniere e italiane, arriva a ridosso del rinnovo dell’accordo tra Roma e Tripoli per il contrasto delle partenze via mare dal Paese nordafricano. La contraddizione non potrebbe essere più stridente. Le autorità italiane, con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in evidenza, hanno ancora una volta richiamato il drastico calo degli arrivi, delle richieste di asilo e delle morti in mare come il principale risultato dell’accordo. In effetti, secondo i dati del Ministero dell’Interno, gli sbarchi sulle coste italiane sono diminuiti dai 114.415 del 2017, relativi per di più in gran parte alla prima metà dell’anno, ai 22.318 del 2018, fino ai 9.944 di quest’anno. Già suona alquanto discutibile che un Governo si vanti di impedire alle persone che ne avrebbero diritto di cercare asilo in un Paese a ordinamento democratico, firmatario di tutte le grandi Convenzioni internazionali al riguardo.
Ma ora emergono in modo conclamato i costi umani di quella chiusura. Non basta che le persone non muoiano in mare, se vengono torturate e uccise a terra, soltanto lontano dalle nostre telecamere e dai nostri residui afflati umanitari. Il Governo ha anche promesso di avviare negoziati con la Libia, mediante una commissione congiunta, per migliorare le condizioni di detenzione nei centri ormai sotto accusa. Se non altro ha ammesso che il problema esiste. La promessa giunge però tardiva, poco convincente e contraddetta dagli intrecci tra autorità ufficiali libiche, trafficanti, milizie armate e pezzi dello Stato italiano, che sempre 'Avvenire' ha documentato e denunciato. I libici non agivano in proprio, ma armati, coordinati e sussidiati anche e soprattutto dalle autorità italiane. La sorprendente efficienza e determinazione messa in campo da uno Stato pressoché fallito si spiega con le risorse e l’appoggio logistico forniti dall’Italia, insieme alla disinvoltura pressoché inedita con cui sono state imbarcate negli accordi anche forze locali sospettate di aver favorito fino al giorno prima le partenze irregolari di persone e altri cinici traffici. Inevitabilmente il discorso si allarga alle politiche migratorie fin qui seguite dal nuovo esecutivo.
Alcune novità si sono intraviste: il mini-accordo di Malta ha favorito una redistribuzione dei pochi sbarcati dalle navi umanitarie nelle ultime settimane. Le stesse navi hanno potuto attraccare nei porti italiani, anche se dopo giorni di attesa, senza subire attacchi infamanti e persecuzioni giudiziarie. Soprattutto, è cambiato il linguaggio e l’atteggiamento: il ministro dell’Interno non tuona più ogni giorno contro poche decine di rifugiati come se fossero una minaccia esiziale, eccitando all’odio ampie porzioni dell’opinione pubblica.
Nei fatti però il tratto prevalente è quello di una sostanziale continuità con il Governo precedente a trazione leghista. La promessa revisione dei pacchetti sicurezza nel senso richiesto dal Presidente della Repubblica ancora latita, mentre ogni giorno richiedenti asilo inseriti nei luoghi di lavoro perdono il posto e i diritti, perché si vedono respinta l’istanza di protezione internazionale. Oggi oltre l’80% delle richieste finiscono in un diniego, senza che per questo le persone scompaiano.
Da un giorno all’altro si trasformano in 'senza dimora'. Nessuna novità nemmeno su un nuovo codice della cittadinanza ispirato allo ius culturae, come da più parti sollecitato. Neppure i due Compact dell’Onu, sugli immigrati e sui rifugiati, che pure Giuseppe Conte aveva dichiarato di voler sottoscrivere prima di essere brutalmente smentito dall’allora ministro Salvini, hanno visto l’Italia ritornare sui suoi passi per allinearsi con i suoi partner tradizionali. Che sia la paura di perdere altri consensi, la concorrenza tra gli alleati giallo-rossi, una convinta posizione xenofoba da parte di Di Maio e di parte dei suoi, autori di indimenticate campagne contro le Ong e l’accoglienza, il risultato è sotto gli occhi di chi voglia vederlo. Qualche soprassalto di umanità non basta a produrre la discontinuità che sarebbe necessaria.