Opinioni

Le imbarazzanti performance al Festival di Sanremo. Istrioni sì, ma non stonati

Carla Collicelli venerdì 18 febbraio 2011
Non è chiaro quale sia il confine tra una 'satira trash', come è stata definita ieri quella di Luca e Paolo al festival di Sanremo, e una 'satira pulita'. Se facciamo il confronto con alcuni film di grande successo in questi giorni, quella di ieri a Sanremo è di gran lunga più delicata ed elegante. Ma la satira va apprezzata anche rispetto al contesto nel quale si colloca ed all’oggetto che prende di mira. Da un punto di vista del contesto nel quale la satira si colloca, non può però non apparire come la satira di Luca e Paolo su Berlusconi e Fini di martedì sera sia stata imbarazzante: le dolci note della famosa canzone di Morandi hanno fatto da supporto a una intromissione dello spettacolo in faccende dalla portata politica e sociale non indifferente, con citazione di nomi di protagonisti e protagoniste, di appuntamenti giudiziari, di questioni personali, rispetto a due delle più alte cariche dello Stato, la cui immagine veniva nel frattempo proiettata alle spalle dei comici. Ci siamo abituati. Avviene un po’ ovunque. Ma credo sia necessario interrogarsi se sia giusto e se non occorra operare dei distinguo e introdurre dei codici di autoregolamentazione rispetto a temi, personaggi, trasmissioni. Non si tratta di un approccio facile, perché il confine tra le regole condivise e le possibili forme di una moderna censura a salvaguardia di malefatte è impunità non è facile da tracciare. Ma questo è uno dei problemi più importanti che la modernità deve affrontare. E se è vero che il carattere geniale e istrionesco, molto amato all’estero checché se ne dica, degli italiani è un valore cui non rinunciare, dobbiamo interrogarsi sul corto circuito che si determina nell’incontro con i grandi mass media, di cui gli spettacoli di Rai 1 in prima serata, e Sanremo in particolare, sono l’emblema. Analoghe osservazioni si potrebbero svolgere sulla bimba di due anni in primo piano per i primi 10 minuti del Festival, sul comico che indirizza un gesto volgare alla professoressa di filosofia che gli chiedeva di studiare, esprimendo il concetto che lo studio non serve nella vita ('Io presento Sanremo'), o sulle due ragazze della 'squadra' che ancora una volta, nel 2011, sono lì per mettere in mostra la propria avvenenza. È l’uomo che fa il linguaggio, certamente. Tuttavia, forse per la prima volta nella storia, l’uomo è oggi insidiato dalla sua stessa creatura comunicativa, la televisione. I fenomeni della iperrappresentazione e dell’avidità del vedere e del parlare sembrano soffocare il substrato più autentico dell’essere umano, cioè il pensiero e la libertà. Il mondo dei media tecnologici fa aleggiare l’identità collettiva dentro le rappresentazioni più o meno leggere, più o meno eleganti, del vivere sociale, che diventano la realtà a tutti gli effetti, e per alcuni anche l’unica. Chi non vi compare semplicemente non esiste e come vi si compare determina legittimazione ed identità. Il caos è dato proprio dall’assenza di capacità di correlare i segni, le notizie, i dati, con strumenti adeguati. Certo tutto il mondo ha subito negli ultimi 50 anni la corsa alla iperrappresentazione ed alla comunicazione sempre più frenetica ed onnivora. Forse il nostro particolare, che si sposa con quella predisposizione all’istrionismo che ci contraddistingue, sta nel fatto che lo sviluppo nel secondo dopoguerra è avvenuto in Italia con grande concentrazione degli sforzi sulla crescita economica e sulla modernizzazione, ma con scarsa cura per il rafforzamento del quadro istituzionale, per la qualità dei processi di rappresentanza e anche per il ruolo della cultura e dello spettacolo. La crescita del Paese testimonia dei risultati raggiunti in una storia recente di grande dinamicità economica e sociale, ma che si sono accompagnati a un boom dei mass­media e a un consumismo materiale e immateriale, cui forse non eravamo pronti. Il grande sviluppo economico e sociale avveniva, in sostanza, senza porre la dovuta attenzione sulla gestione di simili processi nelle moderne società. Una sorta di eterogenesi dei fini nel Novecento, un secolo che come mai prima nella storia italiana ha affrontato sfide di civilizzazione e uguaglianza, ma anche un secolo che come mai prima ha prodotto il ribaltamento di molte aspettative e il generarsi di forme abnormi di sopraffazione delle coscienze.