L’insulto ad Anna Frank. Io, laziale (non fascista) contro la sporca dozzina
Uno dei virus peggiori ormai diffuso nel mondo del calcio – e non se ne parla mai –, è la patologia del “giornalismo tifoso”. Un male per niente oscuro, anzi sbandieratissimo, dal quale sono fortunatamente vaccinato. Faccio il dovuto preambolo, per allontanare ogni ombra di faziosità anche se confesso la mia fede laica per la Lazio. Sono laziale e «non fascista», come invece vuole la vulgata comune che se appartieni al popolo della Lazio allora devi necessariamente votare quella “destra” cioè credere ancora in Mussolini duce e tatuartelo sulla pelle come il tribuno Paolo Di Canio. No, io sono semplicemente un ex ragazzo degli anni 80 che andava all’Olimpico con suo padre (juventino) a seguire la Lazio di Bruno Giordano, filosofo del gol che certi romanisti, in quanto “eretico laziale”, avrebbero voluto arso al rogo come il suo quasi omonimo Giordano Bruno. Questo per dire che lo sfottò, specie a Roma, è il sale del tifo popolare. Ma il sale diventa puro veleno, quando si sconfina nel razzismo, nell’antisemitismo nel caso degli adesivi in cui si mostra, con addosso la maglia della Roma, Anna Frank, ragazza ebrea deportata e morta nel lager nazista di Bergen-Belsen, autrice di un Diario che costruisce ancora oggi la memoria civile e spirituale di quanti non si rassegnano alla logica dell’odio che genera lo sterminio.
Chiunque abbia pensato un simile “spot antiromanista” non è un tifoso della Lazio, ma è un povero disgraziato. Un mascalzone e un ignorante cronico, che non conosce la storia, non sa nulla della Shoah, della tragedia degli ebrei e di ogni persona onesta e libera, uno che non ha rispetto per nessun credo religioso e nessuna storia di popolo. Concludere, però, con sommarietà che la tifoseria laziale è, in sé, «fascista, nazista e antisemita» è un’altra forma di ignoranza. È espressione di un qualunquismo incendiario che non sana alcuna ferita e ne apre di nuove. Gli ultrà della Lazio – categoria non più protetta, che il presidente Claudio Lotito si è impegnato ad arginare in questi ultimi anni – continuano la loro azione destabilizzante con striscioni, cori e i reiterati latrati all’indirizzo dei giocatori avversari dalla pelle scura o anche solo ambrata. La Lazio stessa, da Bastos a Caicedo, ne ha tuttavia in rosa la sua buona e legittima quota, e questi non vengono bersagliati, ma incitati da quella stessa “sporca dozzina” che insulta l’avversario e che crede e canta sciaguratamente che «non può esistere un nero italiano» (insulto reiterato dai tempi del giovane Balotelli). Una vergogna, bisogna dirlo chiaro e forte. Ma bisogna dire altrettanto chiaro e forte che, appunto, siamo difronte a una “sporca dozzina”. A una minoranza violenta e rumorosa, e non possiamo permetterle di continuare a insudiciare l’immagine della maggioranza sana e sportiva. Immagine lesa ancora una volta, quella della tifoseria laziale, fatta soprattutto di gente che va allo stadio solo ed esclusivamente per seguire la propria squadra del cuore.
Non si possono, insomma, continuare a chiudere le Curve di stadi già desolatamente vuoti solo per punire i “soliti noti” che, imperterriti e con trasversali alleanze dell’idiozia e della protervia, alla prima occasione ripropongono gli stessi slogan atroci e gli identici striscioni infami. Il tifo delle persone rette deve accompagnare e sostenere tutti quei genitori che hanno ancora la voglia e il coraggio di portare i propri figli allo stadio e di farli sedere a pochi metri dall’orda balorda. Bisogna resistere all’urto, bisogna spazzar via di civiltà e di allegria quella schiuma lercia e rabbiosa. Dobbiamo tifare per loro, tifare con loro. E io lo faccio, qualunque squadra abbiano in cuore. Tifiamo per l’intelligenza e la cultura, per il fairplay in campo e sugli spalti. Stiamo accanto, come io sto, ai tifosi davvero appassionati, Gente come Alessandro Piperno, scrittore italiano di origine ebraica, e laziale autentico.