Opinioni

Lettere. «Alla Colletta con i miei ex allievi»: quella speranza che dà senso alla vita

le nostre voci di Marina Corradi martedì 28 novembre 2017

Caro Avvenire,
a tre mesi dalla mia pensione (ci sono andato a settembre!) pensavo di starmene tranquillo il 25 ottobre, Giornata nazionale della Colletta alimentare. Anzi volevo fare un turno di due ore davanti alla Esselunga di Cusano Milanino e poi tornarmene a casa a leggere, scrivere e andare a zonzo. Invece mi hanno rintracciato i miei ex studenti (una terza ragioneria del De Nicola) chiedendomi di metterli in contatto con i volontari perché anche loro volevano dare una mano nella raccolta. Per me è stato massacrante: ho fatto un turno dalle 7.30 alle 10.00 a Cusano e poi mi è toccato il turno di tutto… il pomeriggio: seguire i ragazzi presso quattro supermercati a Sesto San Giovanni vicino a scuola. Loro erano ben 31, la regista è stata Mendez Katherin, 17 anni, studentessa salvadoregna nata in Italia, cui i nostri politici non vogliono dare la cittadinanza con lo ius soli! Gli studenti hanno osservato due turni presso l’Unes di piazza Trento e Trieste, la Coop di viale Italia, il Gigante di viale Marelli e il Carrefour di via Picardi. È stata una festa stare davanti ai supermercati per chiedere alle persone di fare la spesa per i poveri: le persone incontrate parlano di sé, si confidano, comunque si fermano! Molti dicevano di non poter acquistare nulla perché erano loro stessi in povertà. Tanti davano poco, ma davano, magari una scatola di fagioli. Alla fine della Colletta non ci si sentiva più bravi o migliori, semmai stanchi e contenti: un sabato in cui è prevalso un rapporto tra compagni diverso, senza noia e banalità. È vero che con la Colletta si aiutano i poveri però l’aiuto più grande che possiamo dare a chi è nel bisogno è lo stesso che è necessario anche a noi. Infatti lo slogan della Colletta recita: «Condividere i bisogni per condividere il senso della vita». È un gesto che dà speranza a noi e alla gente che nella vita ci sia sempre qualcuno «per noi»! Di fronte a tutte le sfide della vita, è questa la speranza da coltivare: che siamo voluti e amati da Qualcuno che ogni giorno incontriamo e cammina con noi.

professor Pippo Emmolo e Abed, Mendez, Hajar Moustafa, Bejenarie, Sam, Rich, Emily Katherasa, Laika, Chang Wu, Dulgheru, Valeruta, Nikole Szychta, Patrizia Chen, Gaetano, Simone, Fulvio, Noemi, Riccardo, Lucrezia, Giancarlo, Andrea, Samantha, Giulia, Francesco P., Francesco L., Christian, Leonardo, Filomena, Loizzo, Desiré, Franco

Come una ventata di aria fresca questa lettera firmata da un professore e da trentuno ragazzi di diciassette anni, che un sabato di novembre decidono di passare una giornata diversa dalle altre. C’è il Banco Alimentare, ricordano, ma non sanno come prendere parte. E allora si ricordano di un professore che è andato in pensione ma che era simpatico, amico, e lo vanno a cercare. Lui quel giorno voleva starsene tranquillo, ma non ce la fa a deludere l’entusiasmo della sua ex classe di ragioneria. Ed eccolo a Sesto, davanti a quattro supermercati, il pomeriggio intero, con i trentuno. Ore sotto la pioggia passate a parlare con la gente che va e viene; e la sorpresa forse è che tanti, all’idea di donare cibo ai poveri, accondiscendono volentieri. Molto più che se si trattasse di offrire denaro: quei pacchi di pasta, di riso, di pannolini andranno direttamente a famiglie disagiate, senza intermediazioni. E piace l’idea di donare a chi ha bisogno: in questo mondo diffidente, dove si dubita ormai di tutto, piace la semplicità limpida di questo regalare. La gente interpellata dai ragazzi torna con una borsa, piena talvolta, altre volte solo con una scatola di fagioli; che forse, dono di un povero, vale in realtà moltissimo, come la moneta della vedova del Vangelo. Ma non è semplicemente beneficenza. I ragazzi del professor Emmolo parlando con tutti, giovani, vecchi, ricchi, disoccupati, chissà quanto hanno imparato in umanità, l’altro giorno. E forse anche hanno avvertito che un filo comune, sottile, lega tutti, apparentemente così lontani: un desiderio di bene profondo, normalmente taciuto. Qualcosa di cui quasi nemmeno si parla, parendo ingenuo, di questi tempi, dire di generosità, solidarietà, bene comune. Eppure mentre i pacchi di viveri si accumulavano fuori dai supermercati (saranno alla fine, in tutta Italia, 8200 tonnellate di alimenti, che andranno a un milione e seicentomila poveri) forse quei ragazzi hanno capito che vale la pena ancora di desiderare e fare il bene. Agli altri, e anche a sé stessi. Perché è un bene per sé, la scoperta di questo desiderio che ancora ci accomuna: forte, e ostinato, come una memoria, come qualcosa di scritto in noi, che non può essere cancellato.